Dopo essere arrivato in ottobre alla creazione di un governo (impresa più complessa che da noi, dunque ai limiti dell’impossibile) a guida liberale, il Belgio ha annunciato una serie di tagli alla cultura da far tremare i polsi. Il tagli prevedono una riduzione del 20% sulle spese di funzionamento delle grandi istituzioni culturali federali (teatri, musei, istituti di ricerca) entro la fine del 2014 e poi un 2% annuo di riduzione sino al 2019. Le spese per il personale invece una riduzione del 4% annuo nel medesimo periodo.
Tagli che, di fatto, potrebbero portare alla scomparsa della cultura “nazionale” in Belgio, lasciando alle sole regioni (Vallonia francofona e Fiandre fiamminghe) la produzione e la cura dei beni culturali. Regioni che, c’è da aggiungere, hanno comunque già tagliato i propri budget in questi anni.
Il ministro della ricerca afferma candidamente su Le soir, quotidiano francofono di Liegi, che i musei resteranno chiusi almeno un paio di giorni alla settimana; i sindacati, gli operatori culturali intanto sono in rivolta. Oltre alle cifre c’è poi il metodo: nessuna concertazione, nessun dialogo. Solo annunci di tagli draconiani. In più nessun ragionamento su cosa debba e possa essere la cultura in un Paese, piccolo e fragile, come il Belgio. Nessun ragionamento di lungo periodo, nessuna volontà di mostrare quale futuro si verrà a creare così.
Il Belgio è un paese diviso in due comunità regionali con lingue e culture diverse ma soprattutto due economie profondamente divise. Ricca e in ripresa la parte fiamminga, povera e in recessione quella francese. I tagli alla cultura federale aumenteranno il divario, separando ancora di più le due parti del paese e, di fatto, venendo meno al compito principale di uno Stato federale: quello di tenere insieme le entità federate.
Esiste dunque nel cuore dell’Europa un modello di sviluppo che, nonostante la retorica della cultura come volano dello sviluppo, agisce proprio sui tagli alla cultura per ottenere momentanei sollievi economici che comprometteranno le generazioni future, renderanno più fragile ed ostile la comunità e aumenteranno le differenze socioeconomiche dei cittadini.
Un modello che potrebbe essere facilmente esportabile in altre nazioni, magari infilando qualche apertura al mercato e l’immancabile riferimento al petrolio culturale.
Articolo apparso sul numero 97 di CulturaCommestibile.com del 1 novembre 2014.