La tragicità dello stalinismo è stata affrontata in saggi, romanzi, film. La durezza di quel regime, la ferocia di milioni di morti, imprigionati, le libertà soffocate, il terrore, il tradimento dell’ideale di eguaglianza, hanno attraversato generazioni di intellettuali. Eppure forse mai lo stalinismo è stato affrontato nel suo lato grottesco, nella sua farsa terribile. Troppi i morti, troppa la tragicità di intere popolazioni fatte morire di fame nelle carestie programmate per imporre il socialismo delle terre. Ci prova riuscendoci, Armando Iannucci, cineasta scozzese (a dispetto del nome) che mette in scena una commedia brillante, “Morto Stalin se ne fa un altro”, sulle ultime ore del dittatore sovietico e sulla successiva lotta per la successione.
Iannucci condensa molti fatti veri, seppur possano apparire completamente inverosimili, avvenuti sotto l’ombra del giorgiano, nello spazio dei giorni che vanno dalla morte al funerale di Stalin facendone un’iperbole che falsa un po’ la narrazione storica ma contribuisce a creare un effetto comico davvero eccellente. Così come eccellente è il cast, con una serie di attori in stato grazia, perfetti per il registro grottesco degli eventi: da Steve Buscemi nei panni (troppo magri rispetto all’originale) di Kruščëv o uno straordinario Simon Russel Beale in quelli (troppo grassi) di Lavrentij Berija. Un cast decisamente affiatato e british supportato da dialoghi scritti magistralmente che sono essenziali per un film corale in cui l’azione è tutta al supporto della sceneggiatura e non viceversa.
Siamo dunque di fronte a un piccolo film che però di questa dimensione trae vantaggio e si fa apprezzare per il suo essere molto divertente ma capace di farci riflettere sulle degenerazioni degli ideali, sulla tirannia e sulla sua riproducibilità, in questo il titolo italiano penalizzante rispetto all’originale (The Death of Stalin) ha almeno il merito, come ha notato in modo molto politically correct il regista nell’anteprima dello scorso martedì al cinema Stensen di Firenze, di farci riflettere sin da subito che quelle incredibili tragedie potrebbero anche ritornare se le dovessimo dimenticare.
Articolo uscito il 13 gennaio 2018 su Cultura Commestibile n.245