Ieri sera sono intervenuto all’assemblea cittadina del PD di Firenze. Il fato e l’arbitrio del segretario cittadino hanno voluto che parlassi dopo gli interventi del presidente della Provincia Renzi e, soprattuto, quello di Daniela Lastri che ha ufficializzato la propria candidatura alle primarie (tra l’altro complimenti a Daniela per il coraggio, merce rara di questi tempi!). Insomma un momentaccio, l’attenzione era poca ma ho provato a svolgere qualche ragionamento che riporto qui sotto.
Nell’approcciarci al lavoro sul programma così come definito dal documento approvato da questa assemblea il gruppo che ho avuto il compito di coordinare ha cercato di definire quelle linee programmatiche comuni in vista delle primarie.
Siamo partiti dall’analisi della nostra città, dal bilancio del lavoro svolto, dalle analisi che l’IRPET ha fatto sulla nostra area, convinti che una analisi corretta sia indispensabile se si vuole fare un buon lavoro.
Un’analisi che mostra un quadro non completamente positivo, dove gli elementi che rendono Firenze più competitiva sono in larga parti dovuti alle maggiori difficoltà degli altri piuttosto che alle nostre migliori performance. Elementi positivi che si legano spesso a quelli che troppo semplicisticamente accostiamo alla parola rendita, dimenticando che questa genera valore aggiunto ricchezza e rappresentano, come dimostra lo studio appena pubblicato dalla provincia insieme alla London school of economics, i campi di interessi (gli unici) degli investitori esterni.
E’ dunque emerso il bisogno di declinare una parola: cambiamento. Dopo un ciclo amministrativo di quindici anni di cui tutti noi diamo un giudizio positivo non abbiamo la necessità di inserire elementi di rottura. Serve portare avanti le scelte fondamentali, in primis quelle infrastrutturali, ma adeguandole alle conseguenze, sociali, economiche, fisiche che le nostre scelte (e non solo) hanno generato.
Un cambiamento se mi permettete di mutuare l’espressione dallo slogan della campagna elettorale di Mitterand che vorrei definire tranquillo.
Accanto a questo dobbiamo affrontare il tema della gravità, intesa quasi in senso fisico. Come quella forza che ci mantiene attaccati al terreno, alla concretezza, alla fanga. Un senso di responsabilità perchè i tempi appaiono difficili, appaiono tempi in cui non possiamo accontentarci dei sogni, anche perchè i sogni durano una piccolissima parte della notte.
Dobbiamo quindi lavorare, insieme, alla costruzione di una identità diffusa, non a ricette salvifiche, in cui porre il tema del limite delle risorse, fisiche, sociali ed economiche in cui svolgere lo sviluppo.
Uno scenario nuovo in cui il problema delle dimensioni non può essere più ignorato. Quel tema intuito tanti anni fa da Gianfranco Bartolini che oggi, con la proposta della città metropolitana può avere uno sbocco istituzionale compiuto.
Dobbiamo essere conseguenti alle nostre scelte. Quando si avvicinano i mercati, le comunità, quando si rompono i limiti anche fisici, nel nostro caso gli appennini con la TAV, si creano effetti irreversibili che devono essere governati per dirla con il Marx che descriveva la fine delle antiche civiltà.
Si aprono prospettive incredibili ma anche rischi enormi se non ci faremo trovare pronti. Non ci potremo accontentare di ridurre di mezz’ora, fosse anche un’ora, il tempo per arrivare a Milano dovremo porci l’obiettivo di essere perno di un sistema che lega Livorno e il suo porto con l’Europa, la Toscana al nord e il sud del Paese, conquistando così il ruolo di capitale della Regione, non per rango e storia ma per funzione ed interesse.
Un perno capace di essere quel centro di gravità di una Italia di Mezzo (Toscana, Umbria e Marche) omogenee per economia, composizione socilale e persino consenso politico, che non riesce a materializzarsi e rendere questa area competitiva nel contesto europeo.
Come vedete un ambizione alta e però al contempo concreta, inserita prepotentemente nel dibattito europeo delle città regioni, quel dibattito su cui si orienteranno le politiche dell’Unione e i finanziamenti ad esse legate.
Infine permettetemi di concludere con due riflessioni personali, che non sono frutto del lavoro del gruppo che presiedo.
La prima è che credo serva una sprovincializzazione del nostro dibattito, soprattuto quello che facciamo sui giornali.
Abbiamo bisogno di una elaborazione alta. Porto l’esempio delle infrastrutture e della mobilità-
Forse dovremo riuscire ad uscire da una concezione idraulica, come scriveva qualche tempo fa Walter Tocci in un bel saggio, del traffico. Un idea che pensa che così come per le tubature, aumentando il numero dei tubi e la portata di questi ultimi si distribuisca meglio l’acqua. E invece abbiamo visto, ovunque, che all’aumentare dei tubi è aumentata subito anche la quantità d’acqua da trasportare.
Dunque non credo sia utile affrontare il tema di nuove infrastrutture per la mobilità su gomma cercando le compatibilità tecniche, ambientali o paesaggistiche. Quelle di solito con un buon progetto si trovano. Il problema sono le compatibilità politiche. Come si coniugano, guardate lo dico senza voler dare un giudizio ma per svolgere un ragionamento, nuove strade con la cosiddetta cura del ferro, con l’ambizione di spostare il traffico privato sui treni locali.
Come si coniugano nuove strade, l’aumento del traffico che queste sempre portano, con quanto affermiamo due righe sotto cioè la diminuzione dell’inquinamento, delle emissioni nocive?
Come stiamo in un dibattito mondiale in cui persino la California discute su come chiudere e demolire qualcuna delle sue highway?
Non può valere qui la politica del ma anche, serve la definizione di una scelta.
Dunque e vado a concludere serve una sprovincializzazione dei temi, del nostro dibattito. Anche perchè altrimenti il rischio è quello dell’incapacità del partito non di trovare una leadership, un candidato ma un gruppo dirigente.
Abbiamo scelto, come fondante per il nostro partito, un modello competitivo basato sulle primarie. Dobbiamo svolgerlo in modo che questo non rappresenti l’affermazione di un sindaco ma di un intero gruppo dirigente per il PD e per la città, capace di precedere chi vogliamo amministrare, di indicare una strada, sperando naturalmente che sia quella giusta.
Serve rispetto e determinazione, coraggio e understatement non promesse. Serve indicare un cammino comune, non nascondendo le difficoltà che incontreremo ma mostrandoci pronti a fare insieme ai nostri cittadini quel pezzo di strada per quanto dura sia.
L’incapacità di scegliere porta a soluzioni endogene. Il salvatore esterno non può essere la soluzione ma solo la riproposizione dei nostri antichi mali e un passo verso l’indebolimento e la sterilità.
Siamo invece di fronte a un potenziale gruppo dirigente in grado si superare le distanza e le rotture del passato, in grado di portare alla città idee nuove e richieste di impegno comune, di dimostrarsi capace di cambiare, tranquillamente, la nostra città.