Pare che la Cina, anche questa volta, ci sia vicina. Ieri il post oggi alcuni quotidiani riportano la notizia che anche a Pechino si iniziano ad avvertire i primi sintomi della crisi economica che ha già colpito Stati Uniti ed Europa.
Tra gli indicatori un Pil che corre “solo” al 7,5% annuo, meno maiali macellati al giorno ed altri elementi micro e macro economici. Tra questi uno mi ha particolarmente colpito: la fuga dei ricchi cinesi.
Sì perché i milionari cinesi, una moltitudine secondo i nostri standard, pare che decidano sempre più spesso di trasferirsi, famiglia e patrimonio al seguito, fuori dalla Cina in particolare negli Stati Uniti.
Non è un fenomeno recentissimo se è vero che già da un paio di anni le richiese per la green card americane richieste per famiglie cinesi con a garanzia un patrimonio di almeno un milione di dollari sono aumentate a dismisura.
Quello che colpisce, almeno il sottoscritto, non è il dato economico della vicenda ma il suo simbolismo. Per anni ci siamo autoconvinti della Cina come del luogo del futuro. Il posto in cui si sarebbe svolto il cambiamento del mondo. Abbiamo chiamato Shangay la new york del XXI secolo e scritto di tutto su “un continente che si finge una nazione” come se non essere lì, oggi, equivalesse a vivere nel passato a precludersi futuro e ricchezza.
Oggi invece scopriamo che invece i ricchi e facoltosi cinesi pensano che per il loro agiato futuro sia meglio andarsene dalla Cina e trascorrere il resto del loro tempo nell’occidente decadente.
Non so cosa significhi di preciso, di sicuro non significa certo che la Cina sia finita e che non occorra continuare a cercare di capire quel posto o sottovalutare la sua importanza nella politica e nell’economia globale; ma mostra a noi occidentali che la percezione che si ha di noi, della nostra qualità della vita, della nostra cultura, della nostra ricchezza, non è così in declino come ci stiamo autorappresentando.
Se i tra i più ricchi del pianeta le nostre città, le nostre libertà, il nostro modo di vivere e godere sono ancora più attraenti del produrre a qualunque condizione (economica, politica, sociale ed ambientale) forse c’è speranza che questa parte di mondo si rialzi magari anche in fretta e continui a mantenere la propria egemonia sul resto del globo terracqueo. E magari esporti, con la forza della sua way of life, diritti, democrazia e libertà nel resto del mondo.