Dal Nuovo Corriere di Firenze del 6 ottobre 2011.
La pubblicazione della lettera che la BCE ha inviato all’Italia mi ha ricordato la storiella dell’uccellino che cade nel nido e viene messo al calduccio nel fresco sterco di una vacca per poi esserne tolto dalla volpe per mangiarselo; con la morale che non sempre chi ti toglie dal letame lo fa per il tuo bene.
La ricetta infatti di Draghi e Trichet è infatti la ricetta che piace alla BCE, cioè a quell’organismo che ha per statuto la difesa dell’Euro e del sistema finanziario legato a questo. Non ha per compito quello di definire politiche economiche, linee di sviluppo e men che meno la sostenibilità sociale dei Paesi dell’Europa.
Se letta attentamente infatti quella lettera suggerisce misure tipicamente liberiste che risentono fortemente dell’ideologia mercatista che in questi ultimi venti anni è stata egemonica e che, però, è in buona parte, anche causa della crisi che viviamo. Un‘ideologia che non è automaticamente di destra ma che può essere (ed è stata) declinata anche a sinistra talvolta con buon profitto.
Naturalmente il nostro governo ha pensato bene di non far niente o quasi di quanto scritto nella lettera, nonostante a parole si professi debitore di quell’ideologia e liberale oltre ogni dove. La verità è che lo stato dell’attuale maggioranza è tale che chi ha capito cosa quella lettera diceva non ha modo e potere di attuarla mentre il restante pezzo (maggioritario) o non l’ha capita o ha altri interessi ben più spiccioli a cui pensare.
Nemmeno stupisce la reazione contraria delle forze delle forze a sinistra del PD: da quelle parti si porta avanti, talvolta con convinzione molto spesso per moda, un ragionamento sulla felicità della decrescita e del non-sviluppo che, quando fatto dignitosamente, pone un modello alternativo a quello pensato dai vari Draghi e Trichet.
Quello che invece colpisce è la reazione delle forze che si dicono riformiste. Basta pensare che il povero Fassina, responsabile economico del PD, per aver mosso qualche critica alla lettera è stato subissato di critiche da buona parte del suo partito che, evidentemente, rimane succube del modello neoliberale. Niente di male si potrebbe dire se non fosse che, di quel modello, o se ne prendono pezzetti alla bisogna (l’amore per il primo blairismo, la nuova razza padrona del D’Alema a palazzo Chigi, ecc…) per poi scaricarli con eguale facilità, applicandolo solo alla convenienza immediata mantenendo però in vita comportamenti, azioni e proposte di segno completamente opposto.
E stupisce ancora di più che di fronte a esponenti dichiaratamente debitori di tale ideologia, Matteo Renzi per tutti, che ne portano avanti coerentemente e (dal loro punto di vista) giustamente le idee facendone discendere proposte politiche, chi li avversa e dice, a parole, di proporre un modello alternativo oppure una loro declinazione più legata alla coesione sociale e all’eguaglianza, non apra su questo un vero confronto e una riflessione. Unico modo, peraltro, per risolvere il problema dell’identità e del futuro del partito.
Chi quindi nutre ancora una qualche speranza di potersi ritrovare in un pensiero riformista, socialdemocratico deve ancora attaccarsi all’apporto di grandi vecchi che continuano a riflettere, come faceva ieri su La Repubblica, Giorgio Ruffolo e spera davvero che il rinnovamento generazionale sia magnanimo almeno con loro.