È tornato, dopo “La provvidenza rossa” Lodovico Festa e il suo detective probiviro comunista Cavenaghi per un altro giallo ambientato nella Milano Rossa. È uscito dunque, sempre per Sellerio, “La confusione morale” ambientato questa volta nella Milano degli anni ’80, quella in cui il PCI litigava con Craxi a livello nazionale ma governava con i socialisti nella capitale lombarda con la giunta Tognoli (Bagnoli nel libro). Ed è proprio questa dualità, questa alterità del comunismo meneghino la vera protagonista della storia. Come nel primo libro o forse ancor di più, l’intreccio noir e poliziesco sono un pretesto. Ne la provvidenza rossa era il pretesto per raccontare il mondo parallelo dei comunisti milanesi rispetto ad una società “secolarizzata” che li escludeva e da cui si autoescludevano. In questa seconda opera l’alterità è tutta fra compagni: tra quelli che vorrebbero inseguire la modernità del riformismo craxista e quelli, romani in larga parte, che lo vogliono contrastare trascinati dalla “questione morale” che Berlinguer, appena scomparso nella narrazione, aveva lanciato. A differenza però del primo volume, l’autore qui prende decisamente parte, schierandosi con i riformisti milanesi, e nel farlo da un lato (anche per esigenze narrative) traccia confini tropo netti tra i due campi ma soprattutto, conoscendo come andranno i fatti (per sé e per il PCI) dà ai compagni riformisti doti di preveggenza un po‘ troppo ampie, soprattutto per quanto riguarda cosa sarebbe accaduto in URSS dopo il 1989. Eppure, il libro rimane godevole, proprio per l’analisi di quella frattura tra le due sinistre che si compì in quegli anni, e per come “mani pulite” sarebbe nato e sviluppatosi. Anche in questo caso, l’autore forza un po’ la mano, e traccia una linea troppo netta, un destino ineluttabile, alla saldatura tra ambienti della magistratura e una parte, importante, dell’apparato comunista. Quello che è del tutto assente è il giudizio sul PSI di quegli anni, lasciato troppo sullo sfondo, concedendo troppo alla tesi assolutoria del craxismo costretto a determinate azioni, politiche e non soltanto politiche. Altrettanto godibile è il fatto che i personaggi seppur mascherati da nomi fittizi siano altamente riconoscibili e credibili, nonostante qualche dialogo un po’ troppo protocollare; così come la ricostruzione dell’ambiente milanese rimane la parte migliore dello scrivere di Festa, insieme alla descrizione dell’urbanistica e dell’architettura milanese, che già si intravedeva nella prima opera. Meno accurato – come nota Giuliano Ferrara recensendo il libro su il Foglio – nel ricostruire le vicissitudini della sinistra milanese di quegli anni il fatto che per tutto il libro nessun comunista non scopi mai; col risultato che da un lato ci si assolve per l’aver peccato coi craxiani e contemporaneamente ci si assolve pure dai peccati della carne.
Articolo apparso su Cultura Commesibile n. 304 del 13 aprile 2019