Hamburger vista Duomo

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Le cronache raccontano di una apertura di McDonald in Piazza Duomo a Firenze, l’assessore Bettarini a Controradio conferma trattative in corso, nonostante il sindaco su facebook si dichiari contrario e dia la colpa di una sua eventuale disfatta alle liberalizzazioni. Quelle liberalizzazioni che i partiti di cui Nardella è stato esponente, dirigente e parlamentare hanno sempre votato e sostenuto e pareva di capire sostengono ancora.

Un isterismo che non ha colto non solo il sindaco ma buona parte del suo partito, lo stesso che ha votato tutte le norme nazionali, regionali e comunali che hanno consentito l’attuale liberalizzazione del commercio. Lo stesso partito che osanna la liberalizzazione del mondo del lavoro ma diventa protezionista, almeno a Firenze, per quanto riguarda la ripubblicizzazione di aziende di servizi e le botteghe. Il Pd tuttavia non è solo; il simbolo dell’ “odiosa” multinazionale ameriKana (col k) ha risollevato gli istinti della sinistra dura e pura, che si conferma come sempre attenta al dito e mai alla luna ma anche i conservatori della Firenze che fu, indipendentemente dal loro colore politico.

E’ evidente che la lotta di classe nel centro storico prosegue. In barba al regolamento protezionista, al dazio del lampredotto (di cui parlammo già qui e qui), la grande catena americana chiede di aprire un negozio nel cuore della città, nonostante nel suo menù non si prevedano piatti della tradizione culinaria fiorentina o l’uso di prodotti a km 0. La deroga richiesta dalla multinazionale infatti si basa sul “servizio al tavolo” e “su uno spazio culturale all’interno del negozio”. Insomma la norma che doveva proteggere il centro storico varata dalla giunta Nardella e che ha fatto strada al provvedimento di Legge varato in questi giorni (su cui torneremo prossimamente) dimostra, se la richiesta della multinazionale sarà accolta, in questo caso la sua natura classista e vessatoria, chi può permettersi di affittare locali ampi, di destinare una parte di questi ad un angolo libreria, di pagare (o sottopagare) personale per servire al tavolo due hamburger e coca cola, può chiedere di derogare al peposo nel menù, il kebabbaro che a malapena riesce a pagare uno stanzino piccolo e stretto è fuori legge e additato al pubblico ludibrio, come propagatore del nemico dei nostri tempi, il degrado.

Sia chiaro chi scrive non ha nulla contro Mc Donald, nessun pregiudizio ideologico; peraltro in Piazza del Duomo già oggi decine di multinazionali e catene di commercio hanno già i loro negozi, il punto è altro. E’ la teoria del compound turistico che prende sempre più spazio e piede. Il parco giochi del rinascimento, con le sue botteghe tipiche e i punti ristoro riconoscibili e familiari sia che tu venga da Milano come da Detroit. Il compound non ha bisogno dell’autoctono se non come manodopera, personale di servizio. Per questo spariscono le rastrelliere per le biciclette in piazza Madonna degli Aldobrandini, davanti alle Cappelle Medicee, sostituite (seppur in parte) con gli ennesimi dehors. Si dirà che erano brutte, sporche, turbavano il decoro. E invece che pulirle, liberarle dai detriti di vecchie bici, si preferisce rimuoverle, ripristinare l’ennesima quinta scenica da fotografare o meglio su cui ambientare il proprio selfie da condividere.

Con questa logica si spiega anche la rinuncia al passaggio del tram dal Duomo, o dal centro storico in generale. Ai parchi tematici si arriva con i treni, poi si prosegue a piedi o al massimo coi trenini che però sono in tema con il parco. Su questa logica uno dei prossimi provvedimenti potrebbe essere l’aumento delle licenze per i fiaccherai. Dunque anche nel caso del tram il punto non è trasportistico o di impatto ambientale, visivo; no il disegno è l’armonizzazione, l’omologazione al modello ideale che il turista cliente si aspetta, al contesto in cui vendere il prodotto, sia questo il biglietto del museo (unico e indiscusso indicatore del successo dopo la riforma Franceschini) o l’hamburger con patatine. La vista duomo è un valore aggiunto, un costo che la quantità di clienti, garantita dal contesto, rende ammortizzabile in fretta.

Articolo apparto su Cultura Commestibile n.176 del 25 giugno 2016

Lotta di classe al Kebabbaro

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La lotta di classe non è conclusa come spesso ci dicono. Non si combatte nemmeno solo nelle periferie o davanti ai cancelli dei magazzini della logisitica.

Vi è una lotta di classe quotidiana, non violenta ma non per questo non cruenta, che si combatte, per esempio, nel centro storico di Firenze. Una lotta di lunga durata, ininterrotta, che vede ormai soccombere proletariato, borghesia liberale e semplici cittadini. Una lotta che non vede cambiamenti significativi di fronte da quasi sempre e che ha avuto, la più recente, battaglia decisiva nella pedonalizzazione di Piazza Duomo e soprattutto nell’impedire il passaggio della tramvia dal centro storico. Un’operazione che ha portato a dare un limite, un perimetro, al centro storico, favorendone la trasformazione in compound. Ennesimo processo di gentrizzazione, isolamento: il ghetto del bello, usufruibile formalmente a tutti, ammiccante in realtà a turisti e clienti. Una volta delimitato il perimetro si procede alla “pulizia”.

Ecco dunque l’ultimo tassello, il provvedimento contro i cosiddetti minimarket. Atto in cui elementi di Stato Etico si fondono con la brama del capitale (ché solo i rivoluzionari da tastiera confondono il capitale col liberismo e dimenticano che il primo ha sempre fatto migliori affari con gli statalisti che con i liberali) al suono di parole come decoro, salute, pulizia e bellezza. Un provvedimento talmente classista che ha fatto gridare al razzismo chi, ormai disabituato a usare categorie politiche, maneggia soltanto quelle sociali. Un intento e un pensiero che sappiamo estraneo ai nostri amministratori ma che la natura del provvedimento ha reso passibile di fraintendimento.

Il pubblico che torna a dare patenti di liceità: Tiger (quella simpatica catena di chincaglierie made in china) sì perché nordico e lindo, the king of Lahore no perché privo di lampade di design (spesso di lampade toutcourt) e diciamocelo piuttosto sudicio.

Una lotta in cui non ci è stato risparmiato, almeno per pudore del ridicolo, la retorica del cancro da estirpare, così maschia e virile. E’ in gioco la salute dei nostri figli! Quelli a cui abbiamo abdicato il nostro ruolo di educatori preferendo indossare la maschera più semplice (ma dozzinale) dei guardiani.

L’alcool quindi, il nemico, feticcio secolare dei proibizionisti di ogni risma. L’alcool come nemico della meglio gioventù, quella che si riprende il futuro. E ho tremato passando davanti a Procacci, con in vetrina le sue splendide bottiglie di ottimo Chianti. Anche lui un nemico? O forse saranno i tre bicchieri a garantirci come già fecero le stelle gialle?

Una siffatta battaglia poi è talmente perfetta che salda gli entusiasti del capitale, buttafuori addetti alla door selection su base censitaria, agli optimates del belllo. I tutori dell’arte e della bellezza, conservatori e tutelatori, progressisti reazionari che sognano un mondo di fruitori del bello a cui loro han dato educazioni e patenti di apprezzabilità. Pronti a brandire oggi la Costituzione Repubblicana come, ieri, brandivano il libretto rosso; non avendo probabilmente letto sino in fondo nessuno dei due.

Capaci di indignarsi per i manifesti sui restauri (e meno male) ma in fondo felici per la ripulitura dal piccolo minimarket africano, così fuori contesto.

Oggi più di ieri si avvertirebbe il bisogno di una Rivoluzione. Liberale.

Articolo apparso su Cultura Commestibile n.155 del 30 gennaio 2016.