Torna la festa nei locali dell’editore Clichy. Come sempre non mancheranno le sorprese. Quest’anno l’appuntamento è per venerdì 20 giugno a partrire dalle 17,30 presso la sede di via Pietrapiana 32 a Firenze. E per la partita? Nessun problema, Italia Costa Rica la potrete seguire anche da lì. Non mancate.
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Buon Compleanno Italia
Dal Nuovo Corriere di Firenze del 17 marzo 2011
Evviva l’Italia. Quella Liberata, quella da liberare. Evviva il nostro Paese, che indice una festa e ci mette tre mesi per decidere se di festa vera si tratti o di mera sottolineatura del calendario. Evviva il Paese che, come per i còrsi in Francia o i baschi in Spagna, quando suona l’inno vede i rappresentanti di quei territori uscire dalle aule. Peccato però che non stiano al governo e non esprimano il ministro dell’Interno. Evviva gli stessi ministri leghisti che come Moretti in Ecce Bombo s’interrogano se si notano di più se vanno o se non vanno alle celebrazioni di questo pomeriggio in parlamento. Evviva Silvio che fu ferito come Garibaldi. Evviva il suo cerottone-lenzuolo degno di un martire risorgimentale. Evviva pure il dibattito sul nucleare, quello sulla giustizia, quello sulla bioetica, il testamento biologico, l’aborto, le canne, la pena di morte e tutto quello di cui si dibatte e di cui poco si fa. Evviva il Paese che evade e quello che produce pagando le tasse. Evviva un Paese che al contrario di tutto e di tutti rimane una delle sette potenze economiche del mondo. Evviva il vincolo esterno per abbassare il rapporto debito Pil. Evviva un paese litigioso, ingegnoso, pieno di umanità e retorica. Evviva i tanti tricolori alle finestre, e quelli agli occhielli delle giacche di ex extraparlamentari di sinistra che trent’anni fa gridavano “uno, cento, mille, Vietnam”. Evviva l’Italia che si celebra e non ricorda, che rimuove il proprio passato coloniale, il ventennio fascista, che rimpiange la DC (anche in quelli che sempre trent’anni fa le auguravano diossina), che fa sfoggio di passato e poi nell’occasione del 150° non apre nessuna seria riflessione storica sul proprio passato e la propria identità. L’Italia dei Santi e soprattutto dei santini, quella che anche quando prega si affida all’intermediario piuttosto che al diretto interessato. Evviva un Paese anziano che però parla e mostra sempre giovani belli atletici e perfetti. Evviva i cervelli in fuga e quelli che, nonostante tutto, restano. Evviva l’Italia e soprattutto viva gli italiani.
Se telefonando…
“Le intercettazioni telefoniche sono un elemento essenziale di ogni azione investigativa”. Così un mio amico poliziotto, bravo investigatore, mi ha risposto di fronte ai miei dubbi e alle mie idee di limitare, non lo strumento investigativo, ma la sua divulgazione.
Il problema è che, leggendo le cronache giudiziarie di questo straziato Paese, si ha come l’impressione che esse rappresentino l’unico strumento di indagine e siano talvolta preferite alla pistola fumante in mano all’assassino. Leggiamo di quintali di carta. Imamginiamo investigatori come ne Le vite degli altri, attenti a ricostruire il contesto, il clima, immaginare scenari. Poco importa se manchino, per esempio in un caso di corruzione, i denari o i favori. Si intuisce la possibilità, si fa trapelare una potenzilità che ci sia altro. Si da un giudizio morale di una società, di una classe politica, di una classe dirigente, rimnendo nell’ombra dell’irresponsabilità e del segreto istruttorio che appare sempre più come un sarchiapone nelle mani di Walter Chiari, il tutto trascrivendo telefonate senza contesto, toni e connessioni.
Magistrati inquirenti, avvocati, giornalisti tutti egualmente colpevoli di fronte al mostro sbattuto in prima pagina. Ognuno porta la propria responsabilità di fronte a cifre che indicano come le archiviazioni e le assoluzioni siano la maggioranza nelle sentenze in queste inchieste. Inchieste e processi che durano anni e rappresentano un calvario e un costo per donne uomini e per la nostra democrazia.
Non ho mai creduto, nel 1992 e oggi, ai complotti e al potere giudiziario che si sostiuisce a quello politico. Penso che come ogni altro pezzo della classe dirigente di questo paese anche gli operatori della giustizia (i colpevoli di cui sopra) siano ormai preda di una profonda crisi. Di valori, di rinnovamento, di senso di responsabilità.
Ogni singolo rappresentante delle elites di questo sventurato Paese pensa in totale buona fede di compiere al meglio il proprio dovere. Sia esso un politico, un magistrato, un giornalista, un intellettuale, un professore universitario. Quello che manca è il senso di appartenenza a qualcosa di più ampio di noi e del piccolo mondo intorno a noi, sia pur esso interpolato o globale.
E’ una società che è guidata dai suoi dirigenti in un vicolo cieco. Però è proprio là, nei vicoli ciechi, diceva Brecht, che avvengono le Rivoluzioni.
Ciao Vittorio
In fondo, mi dico, uno se lo poteva anche aspettare. Vittorio Foa aveva 98 anni, era ormai da tempo infermo e quasi cieco e non si muoveva dalla sua casa di Formia. Uno quindi se lo poteva aspettare ma mi dispiace lo stesso. Avevo conosciuto personalmente Foa molti anni fa. Lo avevo trovato straordinariamente più moderno di me. E in questi anni leggendo quanto via via produceva lo trovavo sempre più moderno di tanti commentatori e pseudo-intellettuali giovani e giovanilisti.
Era un socialista anomalo, veniva da mondi e culture che come studente di storia e poi nella mia piccola attività politica mi hanno sempre affascinato e attratto. Penso che, come tutti, non tutte le avesse imbroccate. Soprattutto quando dalla teoria si tentava di passare alla pratica.
Mancherà a molti, molto più importanti di me, ma mancherà anche a me.