In Emilia Romagna il PCI/PDS/DS prima e il PD poi governa ininterrottamente la Regione dalla sua fondazione nel 1970. Larga parte dei comuni e delle provincie della regione, a partire dal capoluogo Bologna, sono stati governati dal PCI/PDS/DS e poi dal PD quasi sempre dal 1945 in poi. Quando il capoluogo passò nelle mani del centrodestra grazie a Guazzaloca, era il 1999, fu un evento inimmaginabile e comunque quella della destra fu una parentesi (almeno sinora) quinquennale in sessant’anni di storia repubblicana bolognese.
Il PD alle ultime europee ha ottenuto il 38,9% segno che, come notava correttamente Galli della Loggia nei giorni dell’affaire De Bono, con la fine della prima Repubblica la tradizione ex comunista e quella democristiana di sinistra avevano creato un unicum che, di fatto, aveva reso quella l’unica classe dirigente possibile per quella realtà (cosa che, secondo il professore, aveva però finito per far credere a quella classe dirigente di essere al di sopra dei giudizi morali e politici).
Ora in siffatte condizioni il PD, fosse solo per consuetudine ed inerzia, governa (anche senza volerlo) praticamente qualunque cosa. Dalle amministrazioni, alle confederazioni, dai sindacati alle aziende pubbliche, esprime centinaia se non migliaia di dirigenti, quadri, manager.Una regione che, tra l’altro, esprime anche il segretario nazionale del PD.
Ecco in una situazione di questo genere il PD ricandida per il terzo mandato il Presidente della Regione Vasco Errani. Una candidatura che, aldilà dei meriti e delle capacità dell’uomo, pone non pochi interrogativi di opportunità. Già perchè esisterebbe in questo Paese una legge dello Stato che pone come limite di due mandati quelle figure monocratiche, quali sindaco, presidente della Provincia e, appunto, della Regione alla ineliggibilità degli stessi. Ma la norma, si sa, va interpretata e il PD emiliano, così come il PDL lombardo per Formigoni, la interpreta in modo favorevole alla rielezione di Errani.
Poco importa che la maggior parte dei giuristi italiani affermi che invece la norma si applichi proprio alle figure di Errani e Formigoni e poco importa che il risultato (dato che i due sono dati per strafavoriti) possa essere sottoposto al giudizio della magistratura amministrativa. Si sa anche che in casi come questi è già pronta la leggina, bypartisan naturalmente, che sanerà a posteriori, la questione.
Ma aldilà degli aspetti legali restano tutti quelli politici. Resta il fatto che in Emilia Romagna col 38,9% il PD non trovi un assessore regionale, un sindaco, un parlamentare, un segretario persino un passante per sostituire dopo 10 anni il presidente della Regione; di più non ponga nemmeno una riflessione (almeno a livello nazionale) sull’oppportunità di sfidare una norma dello Stato e che, nel caso si decidesse a sfidarla, lo faccia a viso aperto motivando politicamente la scelta e affrontando per esempio la questione del limite di mandato, per esempio, proponendo la modifica della legge e dicendo che, per il PD, è una cosa sbagliata quella norma.
Invece no, si ricandida Errani nel silenzio generale, dando per scontata la cosa. Magari facendo spallucce e difendendosi con il dire che non c’era niente di meglio (col 38,9% dei consensi) oppure, un po’ più sinceramente, dicendo “ma a Errani se non gli facciamo fare il Presidente non possiamo offrirgli nient’altro”. E il PD lo fa mentre contemporaneamente pone, sacrosantamente, il tema della legalità e della pulizia del Paese.
In tutto questo anche l’integerrima IDV, ancor prima della “svolta di Salerno” dipietrista, non trova nulla da ridire, così come il resto degli alleati.
Gli emiliani avranno dunque per almeno un quindicennio un buon presidente di Regione e un partito egemone che li amministrerà fondamentalmente bene, ma che spaccerà loro la sua Ragion di Stato per Senso dello Stato.