“Anch’io da socialista mi voglio vestire…”

Una delle mie più forti perplessità sul PD era (e in parte è ancora) la sua collocazione internazionale e l’appartenenza al Socialismo Europeo. Per me, per chi viene dalla mia tradizione, non è un particolare irrilevante. Questo naturalmente c’entra poco con le primarie fiorentine ma quando è arrivata la lettera di cui trovate la traduzione qui sotto e il pdf in allegato mi sono sentito meglio…

Caro Lapo, amico mio,

sono felice di sapere che sei in corsa per la scelta del candidato del Partito Democratico per il Sindaco di Firenze. Sono sicuro che saresti un sindaco eccezionale.

Penso che la tua esperienza e credibilità internazionale siano risorse determinanti per fare di Firenze una città leader a livello europeo. Sono d’accordo con te: l’amministrazione locale deve giocare un ruolo forte in questi tempi di cambiamenti globali senza precedenti. In un contesto di triplice crisi – finanziaria, economica e ambientale – abbiamo bisogno di leader politici come te, con esperienza internazionale e profondamente impegnati per gli ideali di progresso e giustizia sociale, per migliorare la vita dei cittadini dove è necessario.

Quando abbiamo lavorato insieme al Parlamento Europeo ho visto quanto sei impegnato nel mettere in atto politiche innovative e progressiste. Firenze può beneficiare enormemente della tua visione, della tua competenza e del tuo impegno.

Il 2009 sarà un anno difficile per i cittadini in Europa e nel mondo. Ci attendono dure sfide. Sono fiducioso: tu, Lapo, hai sia la visione che la determinazione per guidare la tua città natale, Firenze, nella giusta direzione e al sicuro fuori da questi tempi difficili.

Desidero farti i miei migliori auguri per la tua campagna, che sostengo pienamente.

Un saluto fraterno,

Poul Nyrup Rasmussen

Presidente del PSE, Primo Ministro della Danimrca dal 1992 al 2001.

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Il compagno Morrocchi si interroga…

Mi interrogo da un paio di giorni su questa possibile candidatura di Michele Ventura a quinto candidato alle primarie del centrosinistra fiorentino.

Conosco Michele da una vita (la mia), ne ho sempre apprezzato la lucidità e la capacità politica. L’arguzia e la capacità di ragionamento e di semplificazione di temi anche complessi.

Ammetto che ultimamente le nostre scelte sono state divergenti proprio in rapporto alle primarie e che dunque una frequentazione, una volta assidua, si è interrotta.

E dunque mi rimangono una serie di domande che non avranno probabilmente risposta ma che giro a tutti.

Se c’è bisogno di semplificare il quadro e di portare a sintesi il quadro del PD fiorentino e il numero dei candidati ha senso, una volta che Daniela Lastri ha annunciato ovviamente di continuare la sua corsa, aumentarne il numero?

Se anche Daniela si fosse ritirata saremmo davvero stati di fronte ad una semplificazione? (in numero no visto che quattro sarebbero comunque rimasti)

Se non di una semplificazione per numero almeno una semplificazione per provenienze sarebbe stata utile? Io penso di no. Penso che l’idea di un richiamo ad una identità diessina sia sbagliato, fuori tempo massimo e che cada sostanzialmente nel vuoto.

Sbagliato perchè contrario all’idea del PD, alla mozione che insieme a Michele ho sostenuto all’ultimo congresso dei DS; fuori tempo perchè la legittima difesa dell’esperienza dei DS si è consumata appunto nell’ultimo congresso e ha portato anche ad una scissione; cade nel vuoto perchè non vedo nel pd fiorentino e nei suoi dirigenti, anche nella maggioranza di quelli provenienti dai ds, una così forte voglia di tornare indietro e di ribadire un’identità che abbiamo coscientemente e convintamente chiuso per costruirne una nuova.

Infine l’ultima domanda ma per me la decisiva. Stiamo scelgiendo il sindaco o il segretario metropolitano del PD? Perchè se scegliamo il segretario del PD, Michele Ventura, e le motivazioni che lo spingono sono anche le mie. Rafforzare il partito, portarlo a sintesi e unità, ridargli azione politica sono bisogni che tutti gli iscritti penso avvertano a Firenze come nel resto d’Italia. Il punto però è che qui si tratta di scegliere il sindaco, cioè qualcuno che è in grado di interpretare un idea di città e un programma di governo. Di unire una città e non solo un partito.

E alla fine si alzò il sipario…

Ieri Matteo Renzi ha iniziato la propria campagna per le primarie. Lo fa con un taglio molto poco di partito e con un orientamento molto orientato all’elettorato extra-pd. Cosa peraltro che lui rivendica con sincerità.

Si può discutere se siano le primarie piuttosto che le elezioni amministrative il luogo in cui conquistare i voti alla destra.

Ogni manuale di scienza politica dice chiaramente di no. Che alle primarie devono votare gli elettori dello schieramento e che l’allargamento degli elettori agli altri schieramenti viene considerato macchinazione.

Ma i manuali sono molto diversi dalla realtà. Dunque pur pensandola come i manuali ritengo l’argomento degno di discussione.

Tuttavia la cosa diventa un po’ più grave, almeno dal mio punto di vista, quando oltre che tentare di “rubare” elettori alla destra si rubano gli slogan e i riferimenti culturali.

A me Prima Firenze sa un po’ troppo Country first di Mc Cain e soprattutto penso che il monologo di Al Pacino in Ogni maledetta domenica (Any given Sunday), faccia un po’ troppo motivatore di publitalia ’80.

Ora non chiedo la proiezione della corazzata Potemkin o Ivan il terribile o la Congiura dei Boiardi in versione originale coi sottotitoli in nord coreano ma insomma si possono trovare riferimenti un po’ più di centro sinistra oltre a qualche citazione di Gramsci fuori contesto?

Se vogliam fare gli americani.

Un mio vecchio amico usava spesso l’espressione “fare i tedeschi con la mentalità dei sudamericani”.

Mi è tornata in mente pensando alle primarie per il Sindaco di Firenze che come Pd ci apprestiamo a fare. Spero di sbagliarmi ma vedo una voglia matta di ripetere nella forma quello che avviene aldilà dell’oceano senza però introiettarne i contenuti, il rispetto e le modalità (se volete i riti) politici di quel modello.

Vedo slogan copiati (al candidato sbagliato però), convention, staff elettorali, gadget, immagino che arriveremo anche ai cartoncini coi nomi e qualche emittente televisiva organizzerà senz’altro un bel faccia a faccia.

Sia chiaro a me tutto questo piace. Tentavo, quando facevo quel mestiere, di organizzare campagne all’americana già nel 2001, figurarsi se non ci sguazzo in tutto questo.

Penso però che servirebbe anche imparare le regole del confronto, il senso delle riunioni che precedono gli interventi alle convention dei partiti, tutta l’arte della politica che permette ai candidati di lavorare per colui che vince, stringendo accordi assegnando incarichi (sì la politica è anche questo).

In sintesi ridando centralità alla politica aldilà dei metodi. E’ forse l’ora di credere nelle scelte che abbiamo compiuto. Non è più il tempo di gattopardismi in cui si cambia il metodo per mantenere la sostanza dei nostri rituali. Abbiamo scelto un metodo competitivo, dobbiamo attrezzarci a questo; regolare e riportare la competizione nell’alveo del confronto civile e serio. Servono contenuti oltre alle regole, non servono a mio avviso i proclami all’unità, vuote richieste di riduzione dei candidati.

Serve governare la complessità, trarne vantaggio e non averne paura. Servono dei dirigenti che sappiano far questo e che abbiano l’umiltà e la sapienza di non cercare la ribalta.

Assemblea di una sera di mezza estate

Ieri sera sono intervenuto all’assemblea cittadina del PD di Firenze. Il fato e l’arbitrio del segretario cittadino hanno voluto che parlassi dopo gli interventi del presidente della Provincia Renzi e, soprattuto, quello di Daniela Lastri che ha ufficializzato la propria candidatura alle primarie (tra l’altro complimenti a Daniela per il coraggio, merce rara di questi tempi!). Insomma un momentaccio, l’attenzione era poca ma ho provato a svolgere qualche ragionamento che riporto qui sotto.

Nell’approcciarci al lavoro sul programma così come definito dal documento approvato da questa assemblea il gruppo che ho avuto il compito di coordinare ha cercato di definire quelle linee programmatiche comuni in vista delle primarie.

Siamo partiti dall’analisi della nostra città, dal bilancio del lavoro svolto, dalle analisi che l’IRPET ha fatto sulla nostra area, convinti che una analisi corretta sia indispensabile se si vuole fare un buon lavoro.

Un’analisi che mostra un quadro non completamente positivo, dove gli elementi che rendono Firenze più competitiva sono in larga parti dovuti alle maggiori difficoltà degli altri piuttosto che alle nostre migliori performance. Elementi positivi che si legano spesso a quelli che troppo semplicisticamente accostiamo alla parola rendita, dimenticando che questa genera valore aggiunto ricchezza e rappresentano, come dimostra lo studio appena pubblicato dalla provincia insieme alla London school of economics, i campi di interessi (gli unici) degli investitori esterni.

E’ dunque emerso il bisogno di declinare una parola: cambiamento. Dopo un ciclo amministrativo di quindici anni di cui tutti noi diamo un giudizio positivo non abbiamo la necessità di inserire elementi di rottura. Serve portare avanti le scelte fondamentali, in primis quelle infrastrutturali, ma adeguandole alle conseguenze, sociali, economiche, fisiche che le nostre scelte (e non solo) hanno generato.

Un cambiamento se mi permettete di mutuare l’espressione dallo slogan della campagna elettorale di Mitterand che vorrei definire tranquillo.

Accanto a questo dobbiamo affrontare il tema della gravità, intesa quasi in senso fisico. Come quella forza che ci mantiene attaccati al terreno, alla concretezza, alla fanga. Un senso di responsabilità perchè i tempi appaiono difficili, appaiono tempi in cui non possiamo accontentarci dei sogni, anche perchè i sogni durano una piccolissima parte della notte.

Dobbiamo quindi lavorare, insieme, alla costruzione di una identità diffusa, non a ricette salvifiche, in cui porre il tema del limite delle risorse, fisiche, sociali ed economiche in cui svolgere lo sviluppo.

Uno scenario nuovo in cui il problema delle dimensioni non può essere più ignorato. Quel tema intuito tanti anni fa da Gianfranco Bartolini che oggi, con la proposta della città metropolitana può avere uno sbocco istituzionale compiuto.

Dobbiamo essere conseguenti alle nostre scelte. Quando si avvicinano i mercati, le comunità, quando si rompono i limiti anche fisici, nel nostro caso gli appennini con la TAV, si creano effetti irreversibili che devono essere governati per dirla con il Marx che descriveva la fine delle antiche civiltà.

Si aprono prospettive incredibili ma anche rischi enormi se non ci faremo trovare pronti. Non ci potremo accontentare di ridurre di mezz’ora, fosse anche un’ora, il tempo per arrivare a Milano dovremo porci l’obiettivo di essere perno di un sistema che lega Livorno e il suo porto con l’Europa, la Toscana al nord e il sud del Paese, conquistando così il ruolo di capitale della Regione, non per rango e storia ma per funzione ed interesse.

Un perno capace di essere quel centro di gravità di una Italia di Mezzo (Toscana, Umbria e Marche) omogenee per economia, composizione socilale e persino consenso politico, che non riesce a materializzarsi e rendere questa area competitiva nel contesto europeo.

Come vedete un ambizione alta e però al contempo concreta, inserita prepotentemente nel dibattito europeo delle città regioni, quel dibattito su cui si orienteranno le politiche dell’Unione e i finanziamenti ad esse legate.

Infine permettetemi di concludere con due riflessioni personali, che non sono frutto del lavoro del gruppo che presiedo.

La prima è che credo serva una sprovincializzazione del nostro dibattito, soprattuto quello che facciamo sui giornali.

Abbiamo bisogno di una elaborazione alta. Porto l’esempio delle infrastrutture e della mobilità-

Forse dovremo riuscire ad uscire da una concezione idraulica, come scriveva qualche tempo fa Walter Tocci in un bel saggio, del traffico. Un idea che pensa che così come per le tubature, aumentando il numero dei tubi e la portata di questi ultimi si distribuisca meglio l’acqua. E invece abbiamo visto, ovunque, che all’aumentare dei tubi è aumentata subito anche la quantità d’acqua da trasportare.

Dunque non credo sia utile affrontare il tema di nuove infrastrutture per la mobilità su gomma cercando le compatibilità tecniche, ambientali o paesaggistiche. Quelle di solito con un buon progetto si trovano. Il problema sono le compatibilità politiche. Come si coniugano, guardate lo dico senza voler dare un giudizio ma per svolgere un ragionamento, nuove strade con la cosiddetta cura del ferro, con l’ambizione di spostare il traffico privato sui treni locali.

Come si coniugano nuove strade, l’aumento del traffico che queste sempre portano, con quanto affermiamo due righe sotto cioè la diminuzione dell’inquinamento, delle emissioni nocive?

Come stiamo in un dibattito mondiale in cui persino la California discute su come chiudere e demolire qualcuna delle sue highway?

Non può valere qui la politica del ma anche, serve la definizione di una scelta.

Dunque e vado a concludere serve una sprovincializzazione dei temi, del nostro dibattito. Anche perchè altrimenti il rischio è quello dell’incapacità del partito non di trovare una leadership, un candidato ma un gruppo dirigente.

Abbiamo scelto, come fondante per il nostro partito, un modello competitivo basato sulle primarie. Dobbiamo svolgerlo in modo che questo non rappresenti l’affermazione di un sindaco ma di un intero gruppo dirigente per il PD e per la città, capace di precedere chi vogliamo amministrare, di indicare una strada, sperando naturalmente che sia quella giusta.

Serve rispetto e determinazione, coraggio e understatement non promesse. Serve indicare un cammino comune, non nascondendo le difficoltà che incontreremo ma mostrandoci pronti a fare insieme ai nostri cittadini quel pezzo di strada per quanto dura sia.

L’incapacità di scegliere porta a soluzioni endogene. Il salvatore esterno non può essere la soluzione ma solo la riproposizione dei nostri antichi mali e un passo verso l’indebolimento e la sterilità.

Siamo invece di fronte a un potenziale gruppo dirigente in grado si superare le distanza e le rotture del passato, in grado di portare alla città idee nuove e richieste di impegno comune, di dimostrarsi capace di cambiare, tranquillamente, la nostra città.

Via Montughi vista dal cielo

Sul Corriere di Firenze di oggi c’è un articolino curioso. Parla delle proteste degli abitanti di via Montughi.

Via Montughi è una piccola via (ma piccola davvero) tra via Vittorio Emanuele e via Bolognese. Per molti fiorentini quel sistema di stradine sopra careggi e la Bolognese rappresenta da sempre la circonvallazione nord della città. Chi qui è nato sa benissimo che si tratta di viottoli larghi più o meno quanto un utilitaria, talvolta a doppio senso che necessitano occhio, pazienza e capacità di fare lunghi tratti in retromarcia se si incontra qualcuno nei tanti punti in cui non è possibile scambiarsi.

Molti giovani neopatentati (anche chi scrive quando tanto tempo fa lo era) hanno reso felici generazioni di carrozieri sverniciando le fiancate delle proprie auto coi muretti a secco la cui abrasività è notoriamente altissima. I fortunati residenti hanno sempre assistito pazienti a questo “modesto” traffico. Almeno sino ad ora.

Da qualche tempo infatti quelle strade non sono più patrimonio per iniziati ma, grazie allo sviluppo e alla diffusione dei sistemi di navigazione satellitare, vengono sempre più “consigliate” come tragitto alternativo per chiunque. Anche per camionisti e proprietari di grosse auto che finiscono così letteralmente incastrati.

Non è un fenomeno solo fiorentino. In molte altre città aumentano i casi di incastri, incidenti e viabilità vicinali trasformati in succursali e deviazioni autostradali.

Il problema non riguarda solo queste strade alternative. I software di navigazione sono tutti completamente slegati dalla pianificazione della mobilità delle città. Sono dunque lasciati alla libera iniziativa delle ditte produttrici, che inseriscono punti di interesse, viabilità alternative, parcheggi di struttura, secondo criteri propri (diversi da prodotto a prodotto) e non quelli dell’amministrazione pubblica che dovrebbe governare la mobilità.

Insomma le società che producono gps stanno divendando anch’esse un soggetto della mobilità delle nostre città. Forse è il caso di rendersene conto e instaurare con loro qualche forma di relazione da parte delle amministrazioni comunali, dai semplici contatti a vere e proprie collaborazioni come già si fa con le categorie economiche o le società di trasporti.

Se ci si riuscisse forse non troveremmo più nessun camionista polacco incastrato in via Montughi che maledice una voce femminile che, dal gps, gli ordina di “tornare indietro quando potete”.

Dante e il consiglio comunale

Enrico Bosi è un signore mite ed educato. E’ un collega consigliere del centro destra, provenienza Forza Italia; sempre compito, sempre elegante, certamente colto ed innamorato della sua città. E’ però innamorato di una città che non c’è più, o forse non è mai esistita. Una città tardo ottocentesca, coi suoi caffè, le riviste letterarie, e lo scappellarsi dinanzi al re, ringraziandolo per averci fatto capitale. La Firenze dei signorotti e dei borghesi, amanti della vita e dei suoi piaceri. Eccolo però imprigionato nel nostro tempo, nella caotica quotidianità di una Firenze invasa dai turisti e dalla calca. Però contro questi non si può andare, perché la Firenze un po’ bottegaia e attenta al money degli stranieri è anche quella che lo elegge. Dunque da uomo di lettere si immerge nel passato e ogni tanto esce con una proposta delle sue.

Lo ha fatto con la statua di Vittorio Emanuele in piazza della Repubblica lo fa oggi chiedendo al consiglio comunale di riabilitare Dante Alighieri, revocando l’editto di esilio che, nel 1302, lo cacciò da Firenze.

Come penso si sia capito dal tono di questo post a me Enrico Bosi sta simpatico. Per questo quando propose di posizionare la statua di Vittorio Emanuele in piazza della Repubblica, gli risposi proponendo sì una statua ma quella di Sandro Pertini per rendere omaggio alla Repubblica che a quella piazza porge il nome.

Oggi però non posso non pensare che quella di Bosi sia una proposta inutile e sbagliata. Inutile perché non ha senso, amministrativo, politico, culturale, revocare atti del 1302 da parte del Comune di Firenze. Non ha senso perché non c’è la continuità politica e istituzionale con quella Repubblica Fiorentina, sbagliata politicamente perché da’ un idea della politica come attenta a cose inutili e disattenta dei bisogni dei cittadini. Sbagliata perché fa perdere tempo alle commissioni, al consiglio e alla giunta su una cosa che non ha nemmeno valore simbolico visto che, Padre Dante, è tornato grazie anche alle letture di Benigni (organizzate dal comune di Firenze tra l’altro) ad essere un autore di successo.

Dante è già un padre della patria, la sua statua di marmo orna da lungo tempo piazza S.Croce da cui “mira dall’alto l’immane casino”, le sue spoglie sono state traslate nella sua città a ricomporre l’esilio (agli esiliati infatti non era nemmeno concessa la sepoltura). Riletto politicamente, il fascismo ne fece uno dei simboli del regime e identificò in Mussolini il velcro che avrebbe salvato il Paese, studiato acriticamente, rappresentato spesso e volentieri senza criterio e gusto, ha oggi invece le potenzialità per rimanere il padre della letteratura italiana e uno dei padri di quella europea e basta.

Non esiste motivo per cancellare dunque un atto revocato già dalla storia e dalla grandezza del poeta. Esistono invece i presupposti per studiare Dante, difenderne la memoria e l’arte, salvare la società dantesca come il consiglio e il comune stanno tentando di fare in questi mesi.

E l’amico Bosi che potrebbe fare? Magari spiegare a quella Firenze che si inquieta e protesta per Benigni in S.Croce che lì si riabilita, davvero, il sommo poeta.

Il goniometro del riformismo

Ecco il testo completo del mio intervento sull’aeroporto di peretola pubblicato oggi su Il Corriere Fiorentino, edizione locale del Corriere della Sera

Buone Cose

Succede talvolta di perdersi in lunghi dibattiti, di aprire affannose questioni, di rompere persino rapporti a partire dal nulla o da questioni di lana caprina. Capita ovunque ma a Firenze, capita un po’ più spesso che da altre parti. Così oggi assistiamo a un Ministro della Repubblica che parlando a Prato blocca perentoriamente (verrebbe da dire con maschio vigore) un ipotesi che non c’è. Infatti ieri Mattioli ha detto no alla seconda pista di Peretola che è un po’ come dire no a costruire il porto a Arezzo. Se infatti anche in questi giorni e in questi anni abbiamo assistito a mille e più ipotesi per lo scalo fiorentino, quello di dotarlo di ben due piste era un po’ come quei titoli che nel caldo d’agosto vedono accostarsi tutti i migliori campioni alla propria squadra del cuore.

Ma Mattioli non è solo in questo sport, nel centrosinistra fiorentino abbiamo rischiato negli scorsi giorni di misurare il grado di riformismo e d’innovazione di autorevoli esponenti del PD dal grado di inclinazione della pista rispetto all’autostrada. Futuristi e avanguardisti quelli che la vogliono parallela, cauti e paternalisti quelli che la difendono perpendicolare, moderati e pontieri quelli che la inclinano di 45°. Il punto però temo sia un altro. Penso che abbia poco senso dibattere sull’orientamento della pista che è questione tecnica e ai tecnici va lasciata, mentre credo che agli amministratori dovrebbe interessare lo sviluppo di Peretola in termini di numero dei passeggeri, destinazioni e infrastrutture di collegamento tra lo scalo e la città.

Sul primo punto siamo di fronte ad almeno due modelli: uno prevede un incremento sino a 8 milioni potenziali; l’altro prevede un aumento sì, ma commisurato a circa 3 – 3,5 milioni. Sono scelte di sistema l’una alternativa all’altra. Ammesso e non concesso che gli 8 milioni ci siano, Peretola e la città sono in grado di sopportarli? A me pare di no. Non li sopporterebbe l’abitato intorno all’aeroporto (neanche spostando la pista), non li sopporterebbe una città già oggi invasa nel suo centro storico dai milioni di turisti. Le destinazioni: Firenze già oggi appare collegata con molti degli Hub europei più significativi, se penso alle potenzialità di sviluppo forse si dovrebbe lavorare per accedere meglio all’est europeo e probabilmente ai collegamenti interni italiani.

Infine le infrastrutture. Se è vero che ormai la segmentazione del mercato aereo ha distinto nettamente i viaggiatori, Peretola si caratterizza sempre più per un aeroporto business o per un turismo di qualità. Un mercato che spende molto e richiede servizi adeguati, in primo luogo di mobilità pubblica per raggiungere il centro. Dove finisce il vantaggio di avere un aeroporto a 10 km dal centro se per percorrerli ci si mette un’ora, o il sistema dei trasporti non ha la capacità di movimentarli tutti velocemente (già oggi figurarsi con 8 milioni!)? In questo senso le scelte dell’amministrazione, la tramvia su tutte, rappresentano un elemento qualificante e di sviluppo dello scalo. Ma serve anche ragionare e attuare più velocemente il collegamento ferroviario, per esempio.

Se sapremo scegliere un modello di sviluppo per l’aerostazione che ha queste caratteristiche starà ad ADF indicarci quelle soluzioni tecniche, pista, aerostazione, servizi, più adatte al modello impostato, altrimenti l’alternativa è quella di munirsi di goniometro e calcolare il proprio grado di riformismo rispetto al tracciato della pista.