Oltre Marchionni e Landini

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Il paradosso della vicenda che ha visto Fiat, ora FCA, contrapporsi ai sindacati ed in particolare la FIOM sta nel fatto che nel momento in cui l’azienda esce dal sistema confindustriale e si fa un contratto di lavoro per sé, per la prima volta nella sua storia aziendale, diventa l’elemento trainante dell’intero sistema delle relazioni industriali italiane. Questo è uno dei punti che il libro di Paolo Rebaudengo, Nuove Regole in fabbrica (il Mulino 2015), affronta raccontando la vicenda che, dalla fabbrica di Pomigliano, ha portato la fabbrica torinese a creare un nuovo modello di rapporto con i sindacati e i lavoratori. Una delle tesi del libro, per tornare al paradosso, è che la FIAT neanche con la marcia dei 40.000 aveva mai davvero cambiato regole e liturgie del confronto sindacale e che soltanto la vicenda Marchionne Landini ha smosso un moloch tutto italiano. Paolo Rebaudengo non è un soggetto neutro della vicenda essendo stato per anni il direttore delle relazioni industriali di FIAT e il suo è un racconto dichiaratamente di parte. Proprio questo lo rende, forse, ancora più utile. Perché la vicenda FIAT è stata letta dalla grande stampa spesso in modo strumentale (di entrambe le parti a differenza di quanto afferma l’autore per il quale tutta la stampa sarebbe stata schierata con la FIOM) e mai nel merito delle vicende. Tuttavia il libro, pur essendo molto utile agli addetti ai lavori, è pensato anche per un pubblico più vasto perché indaga quello che molto probabilmente sarà lo scenario, quanto meno di confronto, tra lavoratori e imprese. Il dato di partenza infatti del libro e della vicenda viene posizionato non in un bisogno di risparmi e di contrazione dell’occupazione ma dal bisogno di FIAT di diventare un soggetto globale. Per farlo, l’organizzazione del lavoro, era e resta un elemento imprescindibile a partire, dice l’azienda, dalla misurabilità e comparabilità dai dati della produzione. Insomma la globalizzazione entra in fabbrica, pesantemente, ridefinisce uno dei terreni di scontro classici tra capitale e lavoro: l’ufficio tempi e metodi. Da questo oltre che da un bisogno di risposte quasi in tempo reale dell’impresa alle sollecitazioni di mercato discende la riforma delle relazioni industriali che diventano da accessorio delle risorse umane, parte integrante delle strategie di investimento dell’impresa e del gruppo internazionale. Su questo il confronto coi sindacati e con un certo sindacato in particolare non può essere più distante. E’ distante per cultura e, verrebbe da dire, per dimensione di riferimento. Non è un caso che la battaglia da sindacale si sposti quasi subito sul piano legale, dove le fortune dell’azienda sono molto meno certe che in fabbrica e, va detto, tra i lavoratori che hanno sempre approvato i vari accordi. Dunque un sindacato che, da parte aziendale, viene visto come un elemento non capace di capire i tempi attuali della produzione ma attaccato soltanto al diritto e alla sua funzione politica generale. Senza sposare in pieno la tesi aziendale (il sindacato deve essere anche agente politico/sociale e il conflitto esiste e dunque va governato) appare evidente una difficoltà esplicita del movimento sindacale a entrare in contatto in primis con gli strumenti culturali di questi tempi, apparendo come legato a logiche e manifestazioni non più rispondenti al proprio scopo sociale e finendo in alcuni casi, come quello della FIOM, a far sembrare prevalente l’aspetto politico orizzontale su quello della difesa e dello sviluppo dell’occupazione e della qualità del lavoro. Non sono però lesinate critiche anche alle organizzazioni datoriali in particolare Confindustria, dalla quale FIAT per firmare un proprio contratto è costretta ad uscire, vista comunque come un elemento conservativo e ritardante del processo di espansione del gruppo. Un libro interessante, infine, per la sua visione di prospettiva; perché lo scenario che si intuisce al termine di questa stagione vertenziale in FIAT è un modello sul quale si discuterà nei prossimi anni, un modello fatto di meno rappresentanza nazionale, di maggiore contrattualità aziendale, forse di contratti unici di “cornice” e di un nuovo rapporto tra aziende e sindacati fatto meno di principi e più di tecnicalità e dell’espansione di rapporti e interlocutori internazionali. Trovarsi pronti a questa stagione, da ambo i lati, sarà utile alle imprese e ai lavoratori.

Articolo apparso su www.culturacommestibile.com n.137 del 19 settembre 2015

La Befana vien di notte

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 6 gennaio 2011

L’epifania tutte le feste se le porta via, insieme anche a un bel numero di buoni propositi per l’anno nuovo svaniti come gli aghi dell’abete appena dismesso.

La dieta solennemente giurata il giorno di Natale allentando la pressione sulla pancia sganciando il bottone dei pantaloni appena dopo gli antipasti, si è smaterializzata di fronte al primo 3 per 2 di panettoni e pandori, con la stessa fermezza che uno Scilipoti qualsiasi può opporre di fronte alle lusinghe di Silvio.

E così l’anno riparte, ahinoi, dove l’abbiamo lasciato. Con la politica che continua a discutere di elezioni, crisi, governi tecnici un giorno sì e l’altro pure. Un balletto che fa contenti solo i giornalisti che possono comporre con amena faccia di tolla un pezzo che giura elezioni il martedì e governo tecnico il mercoledì.

Intanto il Paese vive la sua crisi quotidiana e l’inflazione, ci dicono quasi di sfuggita, ha toccato l’1,9% su base annua, mentre i salari (chi ce l’ha) son rimasti fermi.

E così ci si divide su chi sta con Marchionne e chi sta con la FIOM, mentre sì è sinceramente tentati di aderire al vecchio adagio, né con l’uno né con l’altro; visto che nessuno domanda al canadese d’Abruzzo come intenda recuperare quote di mercato sull’auto non prevedendo alcun nuovo modello per il 2011. Già perché nell’anno appena andato, finiti gli incentivi statali, le case automobilistiche che hanno messo il segno  più davanti alle cifre delle vendite in Italia sono state quelle che hanno introdotto nuovi modelli e alla fine dell’anno FIAT per la prima volta è scesa sotto il 30% delle nuove immatricolazioni in Italia. Non era mai accaduto e dubito fortemente che il problema siano le relazioni industriali.

Così come non suscita, in chi scrive, simpatia un sindacato che si ricorda dello statuto dei lavoratori a fasi alterne, che si mobilita come di fronte all’avvento della dittatura se si parla di modificare l’articolo 18 e poi grida egualmente al fascismo quando si applica l’articolo 19.

E così tra i buoni propositi dell’anno nuovo ci sarebbe piaciuto quello di non vedere più gli appelli dei soliti intellettuali a favore delle solite battaglie. Primo perché ormai paiono moduli prestampati a cui cambiare solo intestazione e propagatore della dittatura di turno, secondo perché a memoria non si ricorda un unico esito positivo di tali forme di lotta salvo aumentare la tiratura di un paio di quotidiani.

Così come ci piacerebbe vedere per il 2011 i giovani che continuano a manifestare per il loro futuro in piazza, evitando però di confondere una minima riforma universitaria con la fine della speranza, incazzandosi perché colpisce troppo poco quel sistema che non li soddisfa e chiedendosi dove stanno sbagliando se il barone che ha appena piazzato moglie, nuora e figlio in cattedre spesso inutili, è al loro fianco e urla che hanno ragione.

Poi per il 2011 mi piacerebbe vedere il PD. Verrebbe da dire in qualsiasi forma si manifesti, ma in realtà mi piacerebbe vedere un partito che discute di primarie, cosciente che si tratta di un mezzo e non di un fine, che ad ogni uscita del segretario non si affanna a proporre mille distinguo, che definisca una proposta per il Paese bella o brutta che sia ma che sia sua, che finalmente valuti le interviste di Aldo Cazzullo a Walter Veltroni per quello che sono: un genere letterario che spesso confina con la fantascienza.