Vedere Marx, giovanotto, che corre per le strade di Parigi in fuga dai gendarmi. Bello, se non lui, l’attore che lo interpreta. Insolente come un Hippie, barbuto come un hipster. Lui che trascina con sé un efebico Engels. Giovani e rivoluzionari, pieni di vita, amati e amanti di donne belle, libere, tenaci.
Insomma il Giovane Marx, film di Raoul Peck, ci rende una rivoluzione che non è un pranzo di gala ma un’avventura filmograficamente interessante, persino avvincente. Ed è questo uno dei principali meriti di un film che rende appassionante la prima parte della vita di due filosofi, che passavano la maggior parte del tempo nello scrivere, nel confrontarsi sul materialismo e l’idealismo, polemizzando tra loro in diatribe molto più lunghe e complesse dei bei dialoghi del film. Eppure il film, nonostante le inevitabili semplificazioni e spettacolarizzazioni, regge anche sul piano del pensiero dei due amici che diedero un manifesto al comunismo.
L’altro punto forte del film è il cast, una generazione europea di attori capaci di recitare in tre lingue con accenti impeccabili (che invidia), con bravura e sentimento. Credibili e sempre sul filo della drammatizzazione senza però diventare caricatura. Un film accurato, nei pensieri e nelle ricostruzioni. Scenografie, costumi, persino la scelta dei cavalli, rimanda ad una precisione importante e all’altezza della confusione che le idee del giovane Marx portò a giro, come il suo famoso fantasma, per l’Europa.
Un film non ideologico ma che nelle frasi che lo concludono raccoglie, involontariamente forse, uno dei sensi dell’opera di Marx, il non finito, non come limite ma come presa d’atto che ce n’est qu’un début…
Articolo uscito su Cultura Commestibile n.258 del 14 aprile 2018