Dal Nuovo Corriere di Firenze del 10 marzo 2011.
Di dignità delle donne nel nostro Paese si è parlato a lungo in queste settimane. Lo si è fatto a partire dalle note vicende delle feste di Arcore e dei comportamenti, non certo specchiati, del nostro Presidente del Consiglio, intanto a poche centinaia di chilometri la speranza di dare, finalmente, dignità alle donne d’Egitto veniva vanificata e diventava la prima (temiamo non l’unica) vittima delle Rivoluzioni dei ciclamini. Intanto la commissione che dovrà definire la nuova Costituzione egiziana non ha al suo interno nemmeno una donna. E pare già un fatto grave, almeno a chi scrive. Poi ieri, non a caso l’8 marzo, la manifestazione delle donne egiziane è stata un insuccesso. Per due motivi uguali e contrari. Intanto in quella piazza, diventata famosa nelle scorse settimane, si sono riversate poche migliaia di donne mentre la maggior parte anche di quelle che erano scese in piazza contro il tiranno Mubarak è rimasta a casa, dove gli uomini, novelli rivoluzionari, le hanno “consigliate” o obbligate a restare. Eccolo dunque il secondo fallimento, molti degli uomini che erano scesi (a fianco di tante donne) per chiedere libertà, hanno replicato all’istanza di libertà femminile che “non è questo il momento”, rispondendo alla domanda delle donne italiane “se non ora quando?”: non ora, non qui. Ecco forse una “cacelorada” per le donne egiziane sarebbe da inserire nell’agenda delle mobilitazioni permanenti e servirebbe a manifestare oltre solidarietà a quelle donne, un opinione pubblica sensibile che preme verso le cancellerie europee. Non tanto per smuovere l’impassibile Frattini, troppo occupato a chiedersi perché la riforma tribale di Gheddafi non abbia convinto i libici, ma magari quella Clinton e quella Merkel a cui servirebbe ricordare le proprie storie e le proprie battaglie di genere al fine di far prevalere, almeno un poco, le idealità rispetto alla ragion di Stato.