Il sorriso amaro del nostro attuale mondo

Mai come oggi l’adagio «una risata vi seppellirà» potrebbe risultare azzeccato, salvo il fatto che l’accezione con cui era stato concepito si è completamente ribaltata.

È infatti la risata, o meglio il ghigno beffardo, di Joker quella che rischia di seppellirci e non solo metaforicamente. Almeno così pare pensarla Guido Vitiello che ha appena dato alle stampe per Gramma Feltrinelli “Joker scatenato. Il lato oscuro della comicità”, in cui partendo dal personaggio dei fumetti DC poi trasposto in quasi tutti i capitoli della saga cinematografica di Batman, ci mostra come il giullare cattivo abbia preso il potere nelle nostre società.

Certo il primo Joker che ci salta in mente nelle cronache quotidiane è il Trump che già nel suo primo mandato aveva mostrato tratti di somiglianza col cattivo dai capelli verdi e che oggi quasi ad ogni tweed dispiega tratti da Jocker e che non si stupirebbe se si presentasse vestito di viola scuro.

Intanto come nota Vitiello Joker non ride, usa la risata per uccidere certo, ma lui di per sé al massimo ghigna e il suo perenne sorriso è un taglio o autoinflitto o frutto di sevizie o operazioni finite male a seconda delle leggende sulle origini del Joker stesso. Anche Trump non ride mai se ci fate caso, ghigna, al più sorride ma non lo si vede mai ridere di gusto.

Tuttavia quello di Vitiello non è un libro su Trump, anzi. È un libro che, come ci ha ben abituato l’autore, mette insieme fili invisibili, spaziando dai fumetti, al cinema, dall’antropologia alla letteratura e al teatro. Vitiello ripercorre le origini del Joker e degli archetipi che hanno prodotto il personaggio dei fumetti cercandone radici nel cinema espressionista tedesco a sua volta debitore diretto di Victor Hugo. Collega la stand up comedian con i giullari di corte soprattutto del mondo anglosassone, con le ricerche etnografiche e antropologiche sul riso e il suo collegamento con il mostrare i denti.

Il Joker raccontato nel libro ha assunto sempre più, soprattutto nelle incarnazioni cinematografiche nei Batman di Nolan o nel film a lui dedicato di Todd Phillips, la figura di un miscuglio tra il comico senza successo e il terrorista nichilista divenendo l’incarnazione perfetta tra comicità e distruzione.

Il passaggio dalla fiction alla realtà si realizza facendo diventare la comicità un’arma (talvolta viene da pensare la principale arma) nella lotta politica delle nostre democrazie. Sempre più spesso leader, populisti o no, di destra e di sinistra, adottano stili da comici, utilizzano la battuta, lo scherno come atto politico, con l’efficacia di un decreto esecutivo. Il confine tra motto di spirito e insulto si assottiglia, sulla falsa riga della comicità caustica dei migliori stand up comedian. Il risultato per citare Vitiello stesso è l’«apoteosi odierna, in cui il Re e il Buffone si divertono a cambiarsi di posto, affollando il pianeta di presidenti che si comportano da clown e clown che si candidano a presidenti». E vengono eletti, aggiungiamo noi.

Il tempo dei Joker, il tempo in cui viviamo, è dunque il tempo in cui il Carnevale è morto, o meglio in cui la morte rituale del Carnevale, attraverso la Quaresima non presuppone una rinascita l’anno successivo. Il Carnevale e la Quaresima si confondono non trovando soluzione di continuità, la funzione catartica del rovesciamento del senso viene meno con la morte degli Dei. La secolarizzazione comporta questo prezzo, sembra ammonirci Joker.

Vitiello poi si spinge anche a trovare un’origine istintiva del legame tra riso e aggressività, suggerendo come la risata possa avere origini in comportamenti aggressivi, come mostrare i denti, e come questo aspetto sia stato rimosso nella nostra società ossessionata dal divertimento e dissezionata dalla rete e dai social network, dove la risata decontestualizzata e isolata torna a spaventare come il clown malvagio di It.

Non spaventi però l’erudizione e la molteplicità di fonti che l’autore mette a disposizione anche in una bibliografia amplissima ma posta in forma di suggerimento e riflessione, perché Vitiello come sempre è capace e agile, discorsivo e mai saccente.

In sintesi quello di Vitiello è uno scorcio, il sorriso del Gatto del Cheshire, per rimanere ad uno dei punti affrontato nel libro, che illumina il nostro tempo, ci fornisce una chiave di lettura inedita e che non avremmo saputo da soli intravedere e che invece al termine della lettura ci appare quasi inevitabile.

Guido Vitiello, Joker scatenato. Il lato oscuro della comicità. Feltrinelli, 2025.

Articolo apparso su Cultura Commestibile n. 570 del 29 marzo 2025

L’attacco di Trump e dei populisti alla costruzione storica dell’occidente borghese.

«Ma che storia triste, avevo aspettative basse» canta Willie Peyote e va detto che pure noi rispetto alla seconda presidenza Trump non ci aspettavamo molto, anche se quello che avviene in queste settimane appare ben peggio delle nostre già basse aspettative.

Tuttavia il fenomeno Trump aveva già dato modo di farci immaginare che questa volta sarebbe stato ben peggio di quanto avevamo visto nella sua precedente presidenza e nelle tre campagne elettorali presidenziali da lui sostenute. Segni che già il bel volume di Andrew Marantz, Antisocial (Viking 2019, non tradotto in Italia) metteva in evidenza nella prima campagna elettorale presidenziale vinta da Trump insieme alla presa d’atto della fine del sogno dell’internet liberale e libertario.

Questi sospetti su Trump, potevano facilmente venire seguendo la sua comunicazione ed in particolare quella social dell’immobiliarista americano. Almeno questa è una delle linee di lettura che si possono individuare in “Come parla un populista”, agile libello pubblicato da David Allegranti che ripercorre la comunicazione di Trump e il ruolo dei media nel diffonderla o contrastarla fino alla campagna elettorale del 2024.

Certo né il libro né l’autore, per quanto sagace, potevano immaginare il video orribile e inquietante su Gaza o l’agguato in diretta tv e social a Zelenskyy nello studio ovale. Tuttavia la comunicazione di Trump, inteso nel libro come Populista in chief, è sempre stata dirompente, violenta e insultante.

Il libro dunque è un agile strumento (l’autore precisa con ironia che non si tratta di un manuale) per capire la comunicazione di Trump ma più in generale la comunicazione dei populisti o, per meglio dire, la comunicazione populista. Infatti nel primo capitolo del libro, quello appunto dedicato ai populisti e al loro modo di comunicare, Allegranti dimostra, esempi alla mano, che quel tipo di comunicazione è appannaggio anche di politici non prettamente populisti o demagoghi. Con effetti dirompenti per loro stessi ma soprattutto per la conquista, si direbbe egemonica, di quel tipo di linguaggio nella comunicazione politica, ma ci sia permesso di aggiungere, non solo in quella.

Allegranti non si spinge ad affermare che questa sia stata l’unica risposta che i ceti dirigenti abbiano messo in campo alla loro delegittimazione ma in parte ciò è intuibile. Di più verrebbe da pensare: alla spinta alla disintermediazione, allo svilimento prima simbolico e poi pratico dei corpi intermedi, che veniva in prima istanza dal mondo economico (i lacci e lacciuoli all’impresa di berlusconiniana memoria) le classi politiche dell’occidente hanno risposto entusiasticamente preparando il terreno al populismo dal basso (come i 5 stelle da noi) e quello dall’alto dei magnati che si fanno capopopolo, finendo per far la figura dei tacchini che festeggiano il giorno del ringraziamento.

Trump quindi come continuità di un fenomeno oramai trentennale nato nel dopo guerra fredda, ma anche anomalia nella sua potenza di fuoco e negli esiti imprevedibili e potenzialmente devastanti.

È questa la seconda parte del libro quella in cui analizzando la comunicazione di Trump su Twitter, ora X, Allegranti mostra come il Presidente americano prenda la comunicazione populista e la ingigantisca all’ennesima potenza: uso della menzogna, o post verità, sistematico e non giustificato, insulto come modo di rapportarsi a nemici interni e esterni e uso del tweet come atto politico con conseguenze dirette. Un excutive order di 140 caratteri.

Ed è quella della brevità e della fretta comunicativa, unita a una sovrapproduzione di contenuti, un altro elemento che i populisti, e Trump in particolare, hanno colto come elemento determinante sui social. In altre parole il media social è perfetto per dire balle, farle passare in cavalleria sommergendo il ricevente di mille altre notizie e insultare. Già perché la rissa, anche verbale, non ha bisogno di complessità, di argomenti. L’insulto è il claim più efficace che esista.

Infine l’ultima parte del libro è una riflessione che l’autore, oramai giornalista di lunga esperienza, pone ai colleghi dei media mainstream. Una riflessione su come raccontare Trump e il populismo e così facendo sopravvivere alla crisi di credibilità e stima che colpisce la stampa tanto quanto la politica.

Forse questa ultima parte è quella più interessante del libro, anche perché più personale e seppur Allegranti abbia l’accortezza e l’intelligenza di non spiegarci “che fare?”, ha in sé elementi di salutare dubbio e possibili proposte.

Forse, se ci è permesso interloquire con l’autore, manca un passaggio tra la prima e la terza parte, il prendere coscienza che la crisi della politica e la crisi del giornalismo sono parte di una più generale crisi delle elites. L’occidente, la democrazia come la conosciamo in questa parte di mondo, sono il frutto storico, in larga parte, della borghesia e delle sue lotte (intese come conquiste e resistenze ai nemici), economiche sociali e politiche, pensare che l’attacco sia soltanto a parte di esse è forse l’errore più grande che abbiamo di fronte. Non si tratta di rispolverare il concetto di lotta di classe ma di capire che l’attacco, interno ed esterno, al nostro sistema economico, sociale e politico, non è un attacco separato alla nostra società, alle nostre istituzioni e alle nostre economie ma un’unica messa in discussione di una storia e di una costruzione storica che, almeno dal 1789, sembrava inarrestabile.

David Allegranti, Come parla un populista. Donald Trump i social media e i fatti alternativi, Mimesis, 2024.

Articolo uscito su CulturaCommestibile n. 568 del 15 marzo 2025