L’attacco di Trump e dei populisti alla costruzione storica dell’occidente borghese.

«Ma che storia triste, avevo aspettative basse» canta Willie Peyote e va detto che pure noi rispetto alla seconda presidenza Trump non ci aspettavamo molto, anche se quello che avviene in queste settimane appare ben peggio delle nostre già basse aspettative.

Tuttavia il fenomeno Trump aveva già dato modo di farci immaginare che questa volta sarebbe stato ben peggio di quanto avevamo visto nella sua precedente presidenza e nelle tre campagne elettorali presidenziali da lui sostenute. Segni che già il bel volume di Andrew Marantz, Antisocial (Viking 2019, non tradotto in Italia) metteva in evidenza nella prima campagna elettorale presidenziale vinta da Trump insieme alla presa d’atto della fine del sogno dell’internet liberale e libertario.

Questi sospetti su Trump, potevano facilmente venire seguendo la sua comunicazione ed in particolare quella social dell’immobiliarista americano. Almeno questa è una delle linee di lettura che si possono individuare in “Come parla un populista”, agile libello pubblicato da David Allegranti che ripercorre la comunicazione di Trump e il ruolo dei media nel diffonderla o contrastarla fino alla campagna elettorale del 2024.

Certo né il libro né l’autore, per quanto sagace, potevano immaginare il video orribile e inquietante su Gaza o l’agguato in diretta tv e social a Zelenskyy nello studio ovale. Tuttavia la comunicazione di Trump, inteso nel libro come Populista in chief, è sempre stata dirompente, violenta e insultante.

Il libro dunque è un agile strumento (l’autore precisa con ironia che non si tratta di un manuale) per capire la comunicazione di Trump ma più in generale la comunicazione dei populisti o, per meglio dire, la comunicazione populista. Infatti nel primo capitolo del libro, quello appunto dedicato ai populisti e al loro modo di comunicare, Allegranti dimostra, esempi alla mano, che quel tipo di comunicazione è appannaggio anche di politici non prettamente populisti o demagoghi. Con effetti dirompenti per loro stessi ma soprattutto per la conquista, si direbbe egemonica, di quel tipo di linguaggio nella comunicazione politica, ma ci sia permesso di aggiungere, non solo in quella.

Allegranti non si spinge ad affermare che questa sia stata l’unica risposta che i ceti dirigenti abbiano messo in campo alla loro delegittimazione ma in parte ciò è intuibile. Di più verrebbe da pensare: alla spinta alla disintermediazione, allo svilimento prima simbolico e poi pratico dei corpi intermedi, che veniva in prima istanza dal mondo economico (i lacci e lacciuoli all’impresa di berlusconiniana memoria) le classi politiche dell’occidente hanno risposto entusiasticamente preparando il terreno al populismo dal basso (come i 5 stelle da noi) e quello dall’alto dei magnati che si fanno capopopolo, finendo per far la figura dei tacchini che festeggiano il giorno del ringraziamento.

Trump quindi come continuità di un fenomeno oramai trentennale nato nel dopo guerra fredda, ma anche anomalia nella sua potenza di fuoco e negli esiti imprevedibili e potenzialmente devastanti.

È questa la seconda parte del libro quella in cui analizzando la comunicazione di Trump su Twitter, ora X, Allegranti mostra come il Presidente americano prenda la comunicazione populista e la ingigantisca all’ennesima potenza: uso della menzogna, o post verità, sistematico e non giustificato, insulto come modo di rapportarsi a nemici interni e esterni e uso del tweet come atto politico con conseguenze dirette. Un excutive order di 140 caratteri.

Ed è quella della brevità e della fretta comunicativa, unita a una sovrapproduzione di contenuti, un altro elemento che i populisti, e Trump in particolare, hanno colto come elemento determinante sui social. In altre parole il media social è perfetto per dire balle, farle passare in cavalleria sommergendo il ricevente di mille altre notizie e insultare. Già perché la rissa, anche verbale, non ha bisogno di complessità, di argomenti. L’insulto è il claim più efficace che esista.

Infine l’ultima parte del libro è una riflessione che l’autore, oramai giornalista di lunga esperienza, pone ai colleghi dei media mainstream. Una riflessione su come raccontare Trump e il populismo e così facendo sopravvivere alla crisi di credibilità e stima che colpisce la stampa tanto quanto la politica.

Forse questa ultima parte è quella più interessante del libro, anche perché più personale e seppur Allegranti abbia l’accortezza e l’intelligenza di non spiegarci “che fare?”, ha in sé elementi di salutare dubbio e possibili proposte.

Forse, se ci è permesso interloquire con l’autore, manca un passaggio tra la prima e la terza parte, il prendere coscienza che la crisi della politica e la crisi del giornalismo sono parte di una più generale crisi delle elites. L’occidente, la democrazia come la conosciamo in questa parte di mondo, sono il frutto storico, in larga parte, della borghesia e delle sue lotte (intese come conquiste e resistenze ai nemici), economiche sociali e politiche, pensare che l’attacco sia soltanto a parte di esse è forse l’errore più grande che abbiamo di fronte. Non si tratta di rispolverare il concetto di lotta di classe ma di capire che l’attacco, interno ed esterno, al nostro sistema economico, sociale e politico, non è un attacco separato alla nostra società, alle nostre istituzioni e alle nostre economie ma un’unica messa in discussione di una storia e di una costruzione storica che, almeno dal 1789, sembrava inarrestabile.

David Allegranti, Come parla un populista. Donald Trump i social media e i fatti alternativi, Mimesis, 2024.

Articolo uscito su CulturaCommestibile n. 568 del 15 marzo 2025