Immigrati e fattore M

Da il Nuovo Corriere di Firenze del 2 luglio 2010

La triste spedizione azzurra ai mondiali in Sudafrica ha riaperto da noi una annosa discussione sulla povertà del nostro movimento calcistico, l’impoverimento dei vivai e la necessità di dare una scossa ai nostri pallonatori.

Uno dei temi sollevati è il paragone con la brillante Germania della cosiddetta generazione M (per multiculturale) in cui ben 11 dei 23 convocati non sono tedeschi per discendenza familiare ma per diritto acquisito e naturalizzazione.

Analoga riflessione si fece, lodandone le qualità calcistiche e sociali, per la Francia vittoriosa ai mondiali casalinghi del 1998.

Senza voler entrare qui nei meriti calcistici della vicenda ci interessa soffermarci sul nesso che può esistere tra questi successi calcistici e le riforme del diritto di cittadinanza che questi due paesi, a partire dagli anni ’90 hanno compiuto. Non pensiamo infatti che i lungimiranti cancellieri tedeschi e presidenti francesi avessero in mente le vittorie sportive quando modificarono le loro leggi per l’acquisizione della cittadinanza. Quello che avevano di fronte erano due paesi con un profondo calo delle nascite autoctone e una crescente immigrazione arrivata peraltro alla seconda e forse terza generazione.

Fu proprio negli anni 90 che Germania e Francia superarono il cosiddetto jus sanguinis (sei cittadino di uno Stato se sei figlio di cittadini di quello Stato) verso lo jus soli (divieni cittadino di uno Stato se nasci e risiedi in quello Stato). Ad oggi si diventa cittadini tedeschi o francesi se si è figli di genitori francesi o al compimento del diciottesimo anno di età anche se si è figli di genitori immigrati. Per i tedeschi è necessario che i genitori risiedano regolarmente in Germania da almeno 8 anni e alla maggiore età i ragazzi possono scegliere quale nazionalità adottare.

E in Italia? Niente di tutto questo è avvenuto, nonostante due leggi (Turco Napolitano prima e Bossi Fini poi) abbiano negli stessi anni trattato il problema immigrazione, e si sia oggi (ma già da qualche tempo) in presenza dei fenomeni che c’erano nei due paesi europei venti anni fa, seppure, ricordiamolo sempre, la percentuale degli immigrati regolari resti più bassa della media europea.

Certo ciclicamente si torna a parlare di jus soli in Italia, dapprima fu Amato, allora Ministro dell’Interno, poi ultimamente Fini; ma alle parole ha sempre prevalso l’impostazione ideologica dell’immigrazione vista come fenomeno riguardante o la sfera economica o quella delle sicurezza.

Nulla peraltro nemmeno su un altro fronte, quello della cosiddetta cittadinanza per merito, un modello che per breve fu studiato dal governo Prodi e di cui ha scritto molto il sociologo Pippo Russo. Un modello che vede il superamento dei due criteri sopra descritti a favore di una cittadinanza che si ottiene “sul campo” per meriti professionali e lavorativi anche per categorie cosiddette intermedie.

Nel frattempo si è andati avanti per i lunghi procedimenti della naturalizzazione che si contrae attraverso il matrimonio, per meriti eccellenti o nel caso di oriundi e che la FIGC pare oggi riproporre per rimpolpare la prossima nazionale di Prandelli con una miopia sui destini del calcio italiano che è uguale a quella della politica nei confronti del Paese.

Risultati di questo far niente? Un Paese più povero socialmente, economicamente e, probabilmente, anche calcisticamente.

Ad andar con lo zoppo

Sarà un debito di riconoscenza per averlo chiamato in Parlamento e, grazie alla legge elettorale, eletto nelle fila del PD ma l’ultimo romanzo di Gianrico Carofiglio, barese già magistrato e oggi parlamentare, è decisamente veltroniano. Per carità Carofiglio ha sempre una scrittura scorrevole, è capace di farsi leggere con facilità e le sue storie filano sempre lisce fino al finale, eppure questa volta lo spleen del suo avvocato Guerrieri tracima e infarcisce le pagine con un catalogo di film, canzoni, luoghi, cibi memorabili. Un Album Panini dei ricordi, un amarcord generazionale che ha completamente assente quella leggera cattiveria e ironia che invece caratterizzava, per esempio, il primo Nick Horby.

Dunque l’avvocato Guerrieri stavolta lascia le aule di tribunale per trasformarsi in un Marlowe sbadato, viaggiatore in una Bari che rimane, al lettore che non la conosca di suo, sconosciuta dalla pagine del libro; c’è la ricerca di una ragazza scomparsa, le ex escort (potevano mancare a Bari?) proprietarie di locali notturni, le studentesse universitarie che non sono quello che sembrano e un giro di cocaina che circonda il tutto.

Peccato, Carofiglio coi suoi primi due romanzi pubblicati da Sellerio ci aveva abituato male e ci aveva fatto sperare che fosse possibile una via italiana al legal thriller.

(Gianrico Carofiglio, Le Perfezioni provvisorie, Palermo, Sellerio, 2010)

Dalla parte dei lavoratori (però dipende quali)

Continua la collaborazione tra questo blog e il Nuovo Corriere di Firenze, oggi a pagina 2 trovate questo mio articolo.

La CGIL è il più grande sindacato italiano. Lo è per numero di iscritti, per tradizione, per forza. Nella CGIL la Funzione Pubblica è, insieme ai pensionati, il settore più forte e rilevante. Dunque ciò che avviene al suo interno non è quasi mai casuale e, come dire, definisce una linea d’azione del sindacato, tanto più a Firenze capitale della rossa Toscana.

Ora la Funzione Pubblica di Firenze ha, nei mesi scorsi, sospeso dall’iscrizione un suo militante soltanto perché a questo è arrivato un avviso di garanzia da parte della Procura. Si badi bene il soggetto in questione non è stato sospeso da una qualche carica interna al sindacato, ma dal suo essere semplice iscritto. Di più, l’inchiesta di cui questo lavoratore è oggetto non è nemmeno afferente al suo lavoro. Nessun provvedimento di restrizione della Libertà, nessuna sentenza di alcun grado. Solo un avviso che, la Legge, vorrebbe appunto a garanzia dell’imputato.

Il bello è che la CGIL non ha nel suo statuto alcun riferimento a tale possibilità. Si parla di sospensione e persino di espulsione per coloro i quali hanno sentenze definitive. Invece è chiaro il riferimento, nello statuto sindacale, alla Costituzione Italiana che fa della presunzione di innocenza uno dei cardini della nostra civiltà giuridica.

Invano il povero iscritto ha fatto ricorso ai garanti del Sindacato, i quali si sono rintanati dietro la discrezionalità propria del segretario di categoria che ha firmato l’atto di sospensione.

Insomma il sindacato invece di stare vicino a un lavoratore proprio nel momento in cui questo probabilmente ha più bisogno di aiuto, lo scarica.

Il perché di questo atteggiamento così ostinatamente forcaiolo? Possiamo solo fare un ipotesi forti del vecchio adagio andreottiano che a pensar male si fa peccato ma spesso ci si da: il lavoratore ha avuto per sorte di essere un politico prima di questa vicenda e di essere finito in questa inchiesta proprio per il suo ruolo.

A me fanno sempre rabbrividire gli adepti del partito della forca e delle manette, che come è noto sono trasversali ai due schieramenti, ma l’idea del sindacato dei giustizialisti, se possibile, me ne fa ancora di più.

Come so’ ste olive?

Tutti a parlare di Grecia. Tutti a discutere di Pil, Buoni del Tesoro, Fondo Monetario di debito che arriverà al 140% del PIL e quasi nessuno a chiedersi come si sia potuto arrivare a tanto. Tra i pochi, qui da noi, il sole 24ore e la sua propaggine radiofonica Radio 24. Così ascolando e leggendo un idea che, aldilà della cospirazione mondiale della speculazione (una specie di SPECTRE dei banchieri) accusata ieri anche dai sindacalisti ellenici in visita al congresso della CGIL, qualche responsabilità ce l’abbia anche l’intero popolo greco ti viene

Intanto in Grecia le tasse non si pagano. Sta brutto, non si usa. Pare anzi che l’ultimo scontrino l’abbia richiesto Socrate e si sa che fine gli abbiano fatto fare.  Ancora peggio va per la casa. La mancanza di qualsivoglia strumento urbanistico di governo del territorio oltre ad aver sconvolto il paesaggio ha fatto sì che semplicemente non si pagasse niente perchè, per lo Stato, non esistevano. Tutto abusivo tutto gratis.

Accanto a questo una legislazione sull’età pensionabile che prevede il pensionamento anticipato a 50 anni per alcune categorie di lavoro usurante piuttosto singolari. I conduttori televisivi e radiofonici, per esempio, minacciati dalle colonie di batteri presenti nei reticoli dei microfoni, oppure i parrucchieri minacciati dalla tossicità delle tinture per capelli, evidentemente molto diffuse anche tra i rudi uomini greci visto che la legge non fa distinzione tra coiffeur puor hommes o pour dames.

E poi il bonus, nel pubblico impiego, per chi arriva in ufficio in orario, gli innumerevoli enti inutili tra cui uno per la salvaguardia di un lago prosciugatosi nel 1930.

Accanto a questo governi con il ricambio di classe dirigente che va per ere geologiche e quando finiscono per consunzione i padri gli succedono i figli. Governi bugiardi come quello di centrodestra sconfitto alle elezioni di ottobre che ha falsficato i conti mandati a Bruxelles (anche se su questo bisognerebbe aprire un ragionamento sui solerti funzionari europei che non si sono accorti dei conti falsi) oppure quantomeno lenti come quello socialista in carica che ha perso almeno quattro mesi prima di muoversi con energia sia verso Bruxelles che verso i propri cittadini preparandoli alle lacrime e sangue che li attenderanno.

Quattro mesi persi che hanno fatto sì che, insieme alla quasi nulla propensione al risparmio privato dei greci, oggi sia impensabile attuare forme di prelievo forzoso o di patrimoniale secca (sul modello fatto da Amato nel 92 quando la Lira fu sbattuta fuori dallo SME) perchè i capitali sono tutti già scappati all’estero (si calcola 20 miliardi di Euro) e sui conti correnti restano solo i risparmi delle vecchiette; mentre a Chelsea, Londra, i prezzi delle case di lusso sono schizzati alle stelle grazie ai milionari greci che cercano nuovi investimenti all’estero.

Riuscirà la Grecia a reggere la tensione sociale che è esplosa, riuscirà un classe politica che si è dimostrata inetta (centrodestra) o tentennante (centrosinistra) a tenere la barra ferma a varare alcune finanziarie da tregenda per ricevere i prestiti (non gli aiuti) europei? Prevarrà ancora in Europa la convinzione che il modo migliore di salvare i più forti sia aiutare la Grecia piuttosto che scaricarla?

E qui da noi, la paura di fare la stessa fine, viste alcune evidenti analogie almeno in una buona parte del Paese farà sì che quelle riforme necessarie di cui parla per esempio Marco Cappato qui (o altre che si ritengano migliori) si facciano prima della bancarotta?

Oggi Papandreu ha dichiarato, commentanto i tre morti dei disordini ateniesi, che la Grecia è sull’orlo del baratro, noi temiamo che abbia fatto un passo avanti.

Si può fare (meglio)!

Chi lavora nella realizzazione degli spot pubblicitari sa che quando il cliente è una casa automobilistica quasi nulla è impensabile. Gli spot più ricchi, più innovativi, più particolari sono quasi sempre legati alla commercializzazione di un auto.

Pensate un po’ alla pubblicità di quel fuoristrada la cui progressione cinetica è fatta dalle foto della stessa auto, oppure quella cabrio la cui semplice pressione di un tasto mette all’aria le orecchie di un simpatico cane.

Insomma grandi attori, scenari affascinanti, location esotiche, nulla manca mai nella pubblicità di un auto.

Ecco adesso pensate alla nuova pubblicità della Fiat, quella che utilizza le immagini del film di Mel Brooks Frankestein jr. Nessun collegamento tra quelle immagini e il prodotto, spezzoni di film intervallati da cartelli neri con l’offferta di auto e un senso di poco che pervade tutto lo spot.

Ecco, ci sono molti modi per raffigurare il declino. A volte basta uno spot.

Forse non avevo troppo torto.

Quando scrissi, durante le primarie per la scelta del candidato sindaco del PD di Firenze, che lo slogan di Matteo Renzi, Prima Firenze, mi ricordava terribilmente l’America First di McCain e che mi sembrava uno slogan “di destra” (nel senso di una rassicurante chiusura identitaria) suscitai subito ampie critiche da parte degli spin doctor di Matteo.

Oggi, grazie ad Europa, scoprendo il blog di comunicazione politica nomfup vedo che la versione declinata al regionale di Prima Firenze è lo slogan del candidato alla presidenza della Regione Veneto della Lega Nord Zaia chd declina Prima il Veneto proprio come difesa identitaria. Segno che la mia lettura dello slogan era, seppur così non fosse certo nelle intenzioni degli ideatori, possibile e anche piuttosto facile.

(AVVERTENZA: prima che, come mi è successo altre volte, qualcuno si senta offeso, tengo a precisare che dire che uno slogan sembra di destra non significa dire che uno sia di destra o attui necessariamente politiche di destra. Così come scrivere questo post non significa  fare opposizione a chicchessia.)

Altro che “Amici miei”. Qui “Piove sul Bagnato” (dal Nuovo Corriere di Firenze)

Oggi il Nuovo Corriere di Firenze ospita questa mia lettera sul fare cinema a Firenze.

Caro Direttore,

sollecitato dall’insolita apertura del suo giornale di ieri approfitto per esporle brevemente una piccola riflessione sul fare cinema a Firenze. Già perché aldilà della giusta indignazione rispetto al toccare un capolavoro del cinema come amici miei, questa può essere l’occasione per fare il punto di cosa significa fare cinema a Firenze e di come, nonostante nutrano gli stessi dubbi sulla qualità del progetto “artistico” di questo remake, i professionisti del settore lo accolgano comunque come una boccata d’ossigeno per far lavorare attori e cast tecnici.

Già perché in questi anni, soprattutto grazie agli sforzi in questo senso della Toscana Film Commission, si è comunque tornati a girare film in Toscana e a Firenze. Uno sforzo che serve sia per promuovere l’immagine ma anche per far da volano a un’economia che muove molti addetti, tutti qualificati e come dicono gli economisti “ad alto valore aggiunto”.

In questo senso anche il fondo per il cinema della Regione Toscana è una lodevolissima iniziativa che, legando il finanziamento a bandi, permette a chi propone il proprio talento di trovare una strada per realizzarlo.

Eppure produrre e girare un film a Firenze è e rimane un’impresa titanica. Lo dico per esperienza visto che cocciutamente e tenacemente abbiamo voluto produrre, girare e realizzare il nostro primo film “Piove sul Bagnato” qui a Firenze utilizzando cast e tecnici il più possibile fiorentini.

Ma anche nel nostro caso a parte la solita Film Commission, tanti amici tra attori e tecnici, ma solo qualche sporadico operatore la fatica che abbiamo fatto è stata assolutamente incredibile, soprattutto per quanto riguarda la distribuzione nelle sale.

Eppure il dibattito sul futuro delle sale a Firenze, soprattutto quelle del centro storico, riappare ciclicamente e solleva grandi articoli sui giornali. E poi? Poi poco o nulla per quanto riguarda progetti alternativi alla distribuzione dei grandi film col risultato che lo stesso filmone si preferisce comunque andare a vederlo in una multisala con ampio parcheggio piuttosto che in centro. Nessun cinema che propone una programmazione di vecchi film, o film in versione orginale o per l’appunto produzioni locali indipendenti.

Invece io personalmente devo spezzare una lancia a favore delle multisale proprio perché solo una di queste, il Vis Pathè, ha avuto il coraggio di tenere in programmazione un piccolo film indipendente e locale come il nostro per quasi un mese.

Ecco perché credo che servirebbe, nella discussione sui cinema a Firenze, inserire anche i tanti che cinema (e fiction) a Firenze fanno o vorrebbero fare e mettere insieme la Regione che già fa bene, i comuni ma anche gli esercenti e i distributori per consentire agli spettatori anche alternative “locali” al prossimo remake di amici miei.

Michele Morrocchi

Amministratore Diogene Produzioni Cinematografiche

E a chi manca il tonno?

Pippo Callipo è un imprenditore calabrese famoso per il suo tonno ma anche per essere uno dei simboli della Calabria che non si piega alla ‘ndrangheta e che riesce comunque ad avere successo.

Una bella figura indubbiamente e, come spesso capita, un simbolo che a un certo punto viene chiamato/sente il bisogno di portare la sua esperienza nella cosa pubblica. E’ accaduto altre volte, talvolta bene, talvolta male.

Callipo dunque non è nè il primo nè scommettiamo l’ultimo imprenditore che, ad un certo punto, si candida a governare una regione. Lo fa appoggiato da una coalizione piuttosto eterogenea che tiene dentro Italia dei Valori e Radicali e, si dice, una bella parte di scontenti del PD (tanto che il vincitore delle primarie calabresi del PD, Loiero,  gli aveva subito offerto la vicepresidenza). Ma quale che sia la sua sorte elettorale Pippo Callipo è in campagna elettorale e, si sa, le campagne elettorali costano.

Quello dei costi della politica è un tema annoso, spesso trattato con superficialità e populismo,  perso tra troppe leggi non chiare e un modo di fare, diciamo, piuttosto casual di tutti i soggetti implicati. Insomma per capirci la rendicontazione delle spesse è spesso una formalità a fronte di un “sommerso” enorme e , sia per mancanza di adeguate detrazioni fiscali sia perchè in Italia la pubblicità non piace, le contribuzioni alle campagne elettorali restano quasi sempre sconosciute.

Un tema serio in cui pochi, spesso i radicali, provano a fare qualcosa di concreto, per esempio l’anagrafe dei compensi degli amministratori pubblici.

Insomma in questo guazzabuglio il buon Callipo se ne esce con l’affermazione che la sua campagna elettorale sarà interamente finanziata da sè medesimo. E, in un intervista questa mattina, prevede una spesa di 300.000 Euro per la sua campagna.

Callipo giustifica questa scelta dicendo che in questo modo sarà più libero e non avrà pressioni né “doveri di riconoscenza” verso chi lo ha finanziato. E fin qui tutti, di primo acchito, abbiamo pensato che, in una terra collosa come la Calabria, questo non possa che essere un bene. Ma poi, se ci fermiamo a riflettere ci appare subito un’enorme mostruosità.

Cioè, se il modello Callipo fosse l’unico modo di poter far politica onestamente e liberamente, l’accessibilità alle cariche pubbliche sarebbe appannaggio solo di un parte minima (direi infinitesimale) della popolazione italiana, cioè di quelli che possono permettersi di “far transitare dal proprio conto corrente a quello del comitato elettorale” (il virgolettato è  di Callipo) 300.000 € senza alcun problema.

E gli altri? per esclusione sarebbero tutti dei mafiosi o dei prestanome di questi ultimi.

La differenza tra il populismo e la democrazia liberale sta tutta qui. I primi ammantano di democrazia una progressiva limitazione delle libertà effettive, reali, della popolazione; i secondi immaginano regole chiare e comportamenti trasparenti che fanno sì, attraverso la pubblicità, che se qualcuno riceva un contributo da qualcun’altro lo dichiari, lo esponga al giudizio e sia libero non per proprie risorse ma perchè la forza della collettività e del “sistema” lo rendono libero.

Non c’è due senza tre

In Emilia Romagna il PCI/PDS/DS prima e il PD poi governa ininterrottamente la Regione dalla sua fondazione nel 1970. Larga parte dei comuni e delle provincie della regione, a partire dal capoluogo Bologna, sono stati governati dal PCI/PDS/DS e poi dal PD quasi sempre dal 1945 in poi. Quando il capoluogo passò nelle mani del centrodestra grazie a Guazzaloca, era il 1999, fu un evento inimmaginabile e comunque quella della destra fu una parentesi (almeno sinora) quinquennale in sessant’anni di storia repubblicana bolognese.

Il PD alle ultime europee ha ottenuto il 38,9% segno che, come notava correttamente Galli della Loggia nei giorni dell’affaire De Bono, con la fine della prima Repubblica la tradizione ex comunista e quella democristiana di sinistra avevano creato un unicum che, di fatto, aveva reso quella l’unica classe dirigente possibile per quella realtà (cosa che, secondo il professore, aveva però finito per far credere a quella classe dirigente di essere al di sopra dei giudizi morali e politici).

Ora in siffatte condizioni il PD, fosse solo per consuetudine ed inerzia, governa (anche senza volerlo) praticamente qualunque cosa. Dalle amministrazioni, alle confederazioni, dai sindacati alle aziende pubbliche, esprime centinaia se non migliaia di dirigenti, quadri, manager.Una regione che, tra l’altro, esprime anche il segretario nazionale del PD.

Ecco in una situazione di questo genere il PD ricandida per il terzo mandato il Presidente della Regione Vasco Errani.  Una candidatura che, aldilà dei meriti e delle capacità dell’uomo, pone non pochi interrogativi di opportunità. Già perchè esisterebbe in questo Paese una legge dello Stato che pone come limite di due mandati quelle figure monocratiche, quali sindaco, presidente della Provincia e, appunto, della Regione alla ineliggibilità degli stessi. Ma la norma, si sa, va interpretata e il PD emiliano, così come il PDL lombardo per Formigoni, la interpreta in modo favorevole alla rielezione di Errani.

Poco importa che la maggior parte dei giuristi italiani affermi che invece la norma si applichi proprio alle figure di Errani e Formigoni e poco importa che il risultato (dato che i due sono dati per strafavoriti) possa essere sottoposto al giudizio della magistratura amministrativa. Si sa anche  che in casi come questi è già pronta la leggina, bypartisan naturalmente, che sanerà a posteriori, la questione.

Ma aldilà degli aspetti legali restano tutti quelli politici. Resta il fatto che in Emilia Romagna col 38,9% il PD non trovi un assessore regionale, un sindaco, un parlamentare, un segretario persino un passante per sostituire dopo 10 anni il presidente della Regione; di più non ponga nemmeno una riflessione (almeno a livello nazionale) sull’oppportunità di sfidare una norma dello Stato e che, nel caso si decidesse a sfidarla, lo faccia a viso aperto motivando politicamente la scelta e affrontando per esempio la questione del limite di mandato, per esempio, proponendo la modifica della legge e dicendo che, per il PD, è una cosa sbagliata quella norma.

Invece no, si ricandida Errani nel silenzio generale, dando per scontata la cosa. Magari facendo spallucce e difendendosi con il dire che non c’era niente di meglio (col 38,9% dei consensi) oppure, un po’ più sinceramente, dicendo “ma a Errani se non gli facciamo fare il Presidente non possiamo offrirgli nient’altro”. E il PD lo fa mentre contemporaneamente pone, sacrosantamente, il tema della legalità e della pulizia del Paese.

In tutto questo anche l’integerrima IDV, ancor prima della “svolta di Salerno” dipietrista, non trova nulla da ridire, così come il resto degli alleati.

Gli emiliani avranno dunque per almeno un quindicennio un buon presidente di Regione e un partito egemone che li amministrerà fondamentalmente bene, ma che spaccerà loro la sua Ragion di Stato per Senso dello Stato.

Con quella faccia un po’ così

E’ stata la faccia contenta di Emma Bonino che usciva dal colloquio con Bersani. Una Bonino raggiante, distesa. E’ stata quella faccia a convincermi che stavolta i radicali ci credono. Sì perchè il gesto, tatticamente perfetto, di candidare la Bonino nel vuoto pneumatico delle candidature PD in una regione che lo stesso PD dopo il caso Marrazzo dava in bilico o peggio, aveva il segno della radicalata. Un grande gesto, una grande persona, un gran coraggio; un alta possibilità di ottenere un rifiuto e quindi di fare la vittima e incassare così un dividendo politico per sè e la lista Pannella Bonino, che dopo l’esclusione dal parlamento europeo, rischiava la propria sopravvivenza politica ed economica.

Dunque all’inizio, sinceramente, un po’ ho pensato che si trattasse dell’ennesimo colpo di genio del buon Pannella. Uno capace  di prodezze che ti lasciano a bocca aperta, che mandano in estasi la critica (meno il pubblico) ma che poi non influiscono sul risultato della partita, anzi talvolta sono producenti come le palle perse da Melo di fronte alla difesa della Juventus quest’anno.

E vedere il PD e Bersani che tergiversavano (sai la novità) e i radicali che di fronte alle seppur timide aperture del segretario rilanciavano col tavolo nazionale mi faceva pensare che della solita trama si trattasse. Io mi candido, voi mi dite di no, io a questo punto corro da sola, vi apro un emorragia di voti che ve la sognate, perdiamo tutti le elezioni ma intanto ribadisco la mia esistenza politica.

E invece, e invece pare che il PD, per scelta o per contrarietà, pensi proprio che la candidatura della Bonino possa essere quella giusta per farcela e la faccia della Bonino pare essere quella di una candidata convinta e convincente che vuole davvero provare a vincere e tenere insieme una coalizione. I meriti,  le capacità e la politica non gli mancano per essere un’ottima candidata del centrosinistra (speriamo non troppo ampio) laziale.

Tuttavia a questo punto Emma e i Radicali devono ancora fare un salto di qualità. Sono chiamati, per la prima volta mi pare, ad essere guida e faro della coalizione. Ad avere, si dice dalle mie parti, il boccino in mano. E questo non è cosa da poco per un movimento politico che è stato leader ma in altre fasi storiche e in contesti, quelli referendari, così diversi per durata e limitatezza di obiettivi. Costruire, legare e governare una coalizione prima, durante e (si spera) dopo il voto è affare lungo, spesso noioso e molto, ma molto, frustrante. Così come governare e amministrare una regione.

Per questo servirebbe sgombrare il campo da tutti i dubbi e i retropensieri. Sì perchè ho sentito la Bonino rispondere a radio radicale (e dove altrimenti?) sulla storia delle primarie che lei non è disponibile a farle adesso ma che se ne può parlare per quelle del 2013 per scegliere il leader del centrosinistra alle elezioni politiche. Lo so, si trattava di una battuta, ma a me ha comunque messo un brivido. Se candidatura per il centrosinistra nel Lazio sarà, la Bonino dichiari che intende fare il governatore del Lazio per l’intera durata della consiliatura e che non utilizzerà quella carica come trampolino per altro in quel periodo di tempo. Non serve solo (e forse poco) a tranquillizzare l’elettorato ma soprattutto serve a far capire alla sua coalizione che ella intende esserne principe e non solo autista di autobus.

Infine altro punto stavolta rivolto a tutti i radicali. Se con Bersani è stato necessario mettere in campo un discorso che avesse una valenza nazionale e che dunque la posizione del Lazio è legata al rapporto tra PD e lista Bonino Pannella, per l’amor del cielo bloccate la candidatura Toscani in Toscana. Primo per le dichiarazioni folli (d’altra parte la qualità prima di Toscani è proprio la follia) di Toscani stesso verso il PDL per chiedergli di sostenere la sua candidatura proprio contro il PD. E’ un po’ difficile chiedere un rapporto nazionale e poi candidarsi contro nella regione in cui il PD prende più voti; per far ste cose bisogna avere la faccia di gomma dell’UDC, mica la faccia allucinata di Toscani. Secondo pensare di combattere il “regime finto partitocratico” in Toscana alleandosi col PDL toscano e candidando Toscani visto che entrambi con quel regime hanno molto a che fare è, per dirla con le parole del compagno Ciuffoletti, una di quelle cose che dovrebbero almeno far venire un po’ di (San) rossore.