L’importanza del ricordo

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 27 gennaio 2011

Fu Tullia Zevi, ha ricordato martedì in Parlamento Furio Colombo, a suggerire la data del 27 gennaio per il giorno della Memoria. La storica presidente delle comunità ebraiche scomparsa in questi giorni infatti collaborò alla stesura della legge istitutiva che, nei lavori preliminari, prevedeva come data del ricordo il 16 ottobre: il giorno dell’anniversario della deportazione degli ebrei dal ghetto di Roma.

La Zevi, sono le parole del senatore Colombo, chiese che la data fosse quella del 27 gennaio, oltre che per conformare la celebrazione italiana a quella degli altri Paesi, perché, con la caduta dei cancelli di Auschwitz si sarebbe ricordato un giorno di speranza e, soprattutto, si sarebbe celebrata la memoria di tutti i sommersi dell’universo concentrazionario nazista.

Gli ebrei, in primis certo ma anche i deportati politici, i rom, gli omosessuali. Tutti quelli che con l’assurda efficienza dei campi di morte venivano schedati, classificati e marchiati in base a un pregiudizio folle e razionale.

A differenza di tante celebrazioni, pompose talvolta e poco sentite, a distanza di 10 anni il giorno della memoria rimane vivo e vissuto nella stragrande maggioranza dei cittadini. Un evento vero, che non perde autenticità, nonostante il passare degli anni. E questo si deve ai tanti che in questi anni hanno saputo onorare il giorno della memoria in modo sempre nuovo, mai scontato. Iniziative di storici, artisti, amministrazioni, hanno sempre avuto la volontà di coinvolgere e non solo di celebrare. Un lavoro che si ripete ogni anno, con sempre la stessa forza, soprattutto verso i ragazzi delle scuole. Ragazzi che ho sempre visto attenti, di un attenzione che non riservano normalmente alle iniziative extrascolastiche. Non solo quelli che partecipano ogni anno al treno della memoria, indifesi e incapaci (come chiunque) di fronte alla sproporzione di quel male che ti trovi attorno nel freddo polacco. No, appaiono attenti anche alla lezione, o allo spettacolo, al ricordo del deportato.

E’ per loro innanzitutto che oggi celebriamo la memoria dei sommersi e dei salvati. Perché non abdichino mai all’ottusità dell’odio. Alla scorciatoia della barbarie che la regolarità delle baracche di Auschwitz ci ricorda potersi vestire di normalità e crescere senza troppo rumore attorno a noi.

Meno male che Silvio c’è

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 20 gennaio 2011

Oggi mi voglio mettere nei panni di un elettore del centrodestra. Uno convinto; che ha votato dal 1994 prima Forza Italia e poi Pdl. Uno che meno male Silvio c’è forse non arriva a cantarlo ma a pensarlo di sicuro. Un elettore attento. Che segue i dibattiti su tv e giornali.

Ecco fossi questa persona oggi di Ruby non me ne fregherebbe niente. No non c’entra il regime, la lobotomizzazione delle tv e tutta quella roba che proclama la sinistra dei professionisti dell’antiberlusconismo (se ci si immedesima bisogna farlo bene).
Non mi interesserebbe perchè da diciasette anni mi sento ripetere dalla mia parte politica che un pool di magistrati politicizzati blocca il governo e quindi il Paese e che siamo strozzati da lacci e laccioli primo fra tutti le tasse.

Ecco fossi un elettore del centrodestra io non mi preoccuperei di quello che Berlusconi fa la notte ma di quello che non fa il giorno. Quella riforma delle tasse promessa da sempre, proposta un paio di volte e che al momento nemmeno pare in agenda del governo del fare. Se poi fossi un elettore del centrodestra lavoratore subordinato mi chiederei come mai in 17 anni, di cui 9 passati da Silvio al governo, le tasse prese direttamente dal “sostituto d’imposta” (una delle altre cose che B. doveva abolire) siano aumentate così come i costi dei servizi pubblici che mi servono (asili, acqua, ecc…)

Poi mi chiederei come mai in questi 17 anni, di cui 9 passati dal centrodestra al governo, di riforma della giustizia si è parlato tanto ma fatto niente. Perché si è sprecato il tempo a fare, uno dopo l’altro, provvedimenti per salvare il capo (lodi Schifani e Alfano, depenalizzazioni, legittimo impedimento,ecc..) che non l’hanno nemmeno salvato e non si sono fatte quelle due o tre riforme per tutti che, forse, avrebbero fatto comodo anche a B.: separazione delle carriere, responsabilità civile dei magistrati e abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale.

Tornassi infine ad essere un elettore di centrosinistra, mi chiederei perché, di fronte a un Paese evidentemente sordo di fronte alla questione morale e all’uso privato delle istituzioni, la mia parte politica non passasse il suo tempo a rinfacciare il fallimento, da destra, della politica berlusconiana.

La Mole della ricchezza

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 13 gennaio 2011

Durante le sue lezioni universitarie sul riformismo nel secondo dopoguerra, Paul Ginsborg era solito usare, come immagine della disuguaglianza di reddito tra i molti poveri e i pochi ricchi, la mole antonelliana di Torino.

Quella strana costruzione, pensata prima come sinagoga e che ha poi avuto molteplici usi, sino ad essere oggi un museo del cinema molto apprezzato, è un monumento maestoso, la cui imponente altezza si basa su una base quadrata molto amplia. Ecco, ci diceva il nostro Professore, la nostra società è fatta così, una grossa base e una ristrettissima punta divise da centinaia di metri e da migliaia di denari.

Se oggi volessimo aggiornare quella rappresentazione dovremmo forse immaginarci una mole che rivaleggi, per altezza e dimensioni, con i grattacieli più alti del mondo che spuntato tra lo smog di Shangai e il deserto del Dubai.

E’ un dato pubblicato dall’ISTAT di questi giorni infatti che ci mostra come il paese sia largamente bloccato, nei consumi e negli stipendi, mentre le imprese ricominciano a fare, seppur timidi, utili. Dunque la possibile ripresa non si traduce in ricchezza per tutti, e in nuovo lavoro. Tanto che molti analisti parlano tranquillamente di una ripresa che coinciderà con un aumento della disoccupazione per ancora almeno un paio di anni.

Non si investe in nuovo lavoro per paura, perché si teme che la ripresa sia effimera, e che quel poco guadagno che si intravede non basti a garantire, nel medio lungo periodo, nuove assunzioni. E allora si preferisce aumentare qualche ora di straordinario, qualche ora a nero, a scapito di garanzie, controlli e soprattutto opportunità per quelli che sono fuori dal circuito del lavoro.

E ciò è più vero in un Paese in cui il tessuto produttivo è fatto da micro piccole imprese, forza e maledizione del nostro sviluppo.

A questi tanti imprenditori, poco si può rinfacciare in molti casi. Chi se la sente di accusarli di non investire in nuovo lavoro oggi? Ci sono certo quelli che han preferito non reinvestire l’utile in ditta e si sono innalzati nella scala della Mole, cambiando il SUV o la casa al mare, ma ci sono tanti che hanno acceso l’ennesimo fido in banca per pagare gli stipendi e usano la ripresa per estinguerlo.

Il punto dovrebbe essere di sistema, di capacità di fornire servizi comuni alle piccole imprese, di garantire loro credito, innovazione, ricerca e internazionalizzazione. Di fornire loro opportunità per crescere, magari vincolando questa loro crescita a nuova occupazione e nuovo reddito.

Accanto a questo sarebbe necessario che si risolvessero quei problemi strutturali che oggi rendono non convenienti gli investimenti, in modo magari anche da non essere costretti al “bere o affogare” dell’unico che parla di investire in Italia e cioè Marchionne. Insomma invece di fare il tifo tra Marchionne o la FIOM sarebbe più utile che si risolvessero i veri impedimenti agli investimenti: legislazione, giustizia, infrastrutture e tasse.

Non si sarebbe più costretti a discutere tra investimenti e diritti, ma si potrebbe finalmente rispondere ai bisogni e alle opportunità.

La Befana vien di notte

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 6 gennaio 2011

L’epifania tutte le feste se le porta via, insieme anche a un bel numero di buoni propositi per l’anno nuovo svaniti come gli aghi dell’abete appena dismesso.

La dieta solennemente giurata il giorno di Natale allentando la pressione sulla pancia sganciando il bottone dei pantaloni appena dopo gli antipasti, si è smaterializzata di fronte al primo 3 per 2 di panettoni e pandori, con la stessa fermezza che uno Scilipoti qualsiasi può opporre di fronte alle lusinghe di Silvio.

E così l’anno riparte, ahinoi, dove l’abbiamo lasciato. Con la politica che continua a discutere di elezioni, crisi, governi tecnici un giorno sì e l’altro pure. Un balletto che fa contenti solo i giornalisti che possono comporre con amena faccia di tolla un pezzo che giura elezioni il martedì e governo tecnico il mercoledì.

Intanto il Paese vive la sua crisi quotidiana e l’inflazione, ci dicono quasi di sfuggita, ha toccato l’1,9% su base annua, mentre i salari (chi ce l’ha) son rimasti fermi.

E così ci si divide su chi sta con Marchionne e chi sta con la FIOM, mentre sì è sinceramente tentati di aderire al vecchio adagio, né con l’uno né con l’altro; visto che nessuno domanda al canadese d’Abruzzo come intenda recuperare quote di mercato sull’auto non prevedendo alcun nuovo modello per il 2011. Già perché nell’anno appena andato, finiti gli incentivi statali, le case automobilistiche che hanno messo il segno  più davanti alle cifre delle vendite in Italia sono state quelle che hanno introdotto nuovi modelli e alla fine dell’anno FIAT per la prima volta è scesa sotto il 30% delle nuove immatricolazioni in Italia. Non era mai accaduto e dubito fortemente che il problema siano le relazioni industriali.

Così come non suscita, in chi scrive, simpatia un sindacato che si ricorda dello statuto dei lavoratori a fasi alterne, che si mobilita come di fronte all’avvento della dittatura se si parla di modificare l’articolo 18 e poi grida egualmente al fascismo quando si applica l’articolo 19.

E così tra i buoni propositi dell’anno nuovo ci sarebbe piaciuto quello di non vedere più gli appelli dei soliti intellettuali a favore delle solite battaglie. Primo perché ormai paiono moduli prestampati a cui cambiare solo intestazione e propagatore della dittatura di turno, secondo perché a memoria non si ricorda un unico esito positivo di tali forme di lotta salvo aumentare la tiratura di un paio di quotidiani.

Così come ci piacerebbe vedere per il 2011 i giovani che continuano a manifestare per il loro futuro in piazza, evitando però di confondere una minima riforma universitaria con la fine della speranza, incazzandosi perché colpisce troppo poco quel sistema che non li soddisfa e chiedendosi dove stanno sbagliando se il barone che ha appena piazzato moglie, nuora e figlio in cattedre spesso inutili, è al loro fianco e urla che hanno ragione.

Poi per il 2011 mi piacerebbe vedere il PD. Verrebbe da dire in qualsiasi forma si manifesti, ma in realtà mi piacerebbe vedere un partito che discute di primarie, cosciente che si tratta di un mezzo e non di un fine, che ad ogni uscita del segretario non si affanna a proporre mille distinguo, che definisca una proposta per il Paese bella o brutta che sia ma che sia sua, che finalmente valuti le interviste di Aldo Cazzullo a Walter Veltroni per quello che sono: un genere letterario che spesso confina con la fantascienza.

Il paradosso di Fassino

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 31 dicembre 2010.

Un paio di settimane fa su queste colonne ho espresso una posizione piuttosto indulgente sul PD e sulla gestione dei giorni della mozione di sfiducia da parte del segretario Bersani. Come spesso accade il pezzo è stato commentato, criticato e ha ricevuto molti giudizi taluni dei quali negativi o confutativi.

Quello che mi ha colpito è che la maggior parte dei giudizi negativi o sfiduciati nei confronti della mia tesi venissero da iscritti al PD. Ora è evidente che la platea delle mie conoscenze, reali e virtuali, non rappresenta una platea rappresentativa essendo in massima parte soggetti che hanno, o hanno avuto, interesse per la politica coté PD in maggioranza. Tuttavia non può sfuggire una capacità autocritica molto sviluppata all’interno del maggiore partito d’opposizione. A questo si aggiunga poi che la maggior parte delle critiche veniva da esponenti che all’ultimo congresso avevano appoggiato proprio Pierluigi Bersani.

Negli stessi giorni Piero Fassino ha sciolto le sue riserve e si candida alle primarie per Sindaco di Torino. Ora, personalmente, conservo di Piero Fassino un ottimo giudizio e, dei vecchi dirigenti DS, è quello per il quale nutro grandissima stima, simpatia personale e affetto, dunque il mio giudizio su di lui è pregiudizialmente positivo.  Non so cosa possano pensare gli adepti della rottamazione ma trovo che un dirigente così importante decida di mettersi in gioco, di mettere a disposizione la propria esperienza e le proprie capacità per la propria città, sia un modo intelligente da un lato di fare ricambio nel gruppo dirigente nazionale e dall’altro di garantire, se eletto, un buon amministratore a una città importante.

I primi sondaggi paiono peraltro confermare un giudizio largamente positivo su questa candidatura, appare dunque ancor più bizzarra (almeno ai miei occhi) una certa ritrosia nei circoli torinesi nel PD e una retorica del rinnovamento per il rinnovamento che ha accolto la sua candidatura. Un problema avvertito dallo stesso Fassino che ha tenuto a precisare come fosse forte il suo radicamento con la città e che lui non fosse un candidato imposto da Roma.

Un vero e proprio paradosso per colui che è stato il segretario del partito erede del PCI, un partito in cui l’investitura romana avrebbe garantito sostegno incondizionato almeno all’interno delle sezioni del partito, quelle che oggi sono forse le più ostili alla candidatura.

E’ un segno dei tempi che cambiano, probabilmente anche in meglio non c’è dubbio, ma non stupiscono, se consideriamo il dibattito intorno e nel PD a tutti i livelli, le parole di un autorevole  parlamentare del pd che descrive il suo partito come “sdraiato sul lettino dello psicanaliasta”.

Dall’ordinario all’emergenza

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 23 dicembre 2010

Nella ricerca delle responsabilità per il caos neve dello scorso fine settimana è tutto un fiorire di ipotesi e “colpevoli”.

Si definisce fenomeno la neve a dicembre, si contestano i centimetri previsti rispetto a quelli veramente caduti, è colpa degli autobus, no è colpa degli spargisale, non c’era il sale, il sale c’era ma non serve e tutti si improvvisano ingegneri, meteorologi o dirigenti della protezione civile, con la stessa disinvoltura con cui si trasformano in allenatori della nazionale di calcio.

Uno dei punti più sottolineati, e non a torto, da amministratori e commentatori è stato la congestione del traffico privato che ha paralizzato i mezzi pubblici e quelli di soccorso.

Un problema che, però, è ben presente anche senza la neve. Soltanto il mercoledì precedente alla nevicata la città era infatti stata paralizzata da un incidente sui viali e, complice il freddo e il Natale, il traffico era e rimane sostenuto in città.

Dunque come si può immaginare che una città che è abituata a muoversi con il mezzo privato lo lasci a casa proprio nel giorno in cui fa più freddo e l’uso di motorini e biciclette è precluso o ancor più faticoso?

Certo si può fare appello al senso civico dei propri cittadini invece che rassicurarli con frasi a  effetto sull’efficacia del proprio piano neve, ma è dura pretendere senso civico un giorno l’anno dopo aver fatto passare il messaggio opposto in continuazione.

Non deve sfuggire nella riflessione sull’emergenza il messaggio che questa amministrazione ha dato ai propri cittadini fin dalla campagna elettorale. Pur con intenzioni certamente diverse, la somma di alcuni provvedimenti ha dato il senso quasi di un invito all’uso dell’auto.

Prima l’abolizione dei vigilini che multavano le infrazioni delle ZCS, poi il ridisegno stesso delle ZCS che hanno assunto le dimensioni di interi quartieri non funzionando più da dissuasori alla mobilità interna agli stessi. Infine il ridisegno delle linee ATAF a seguito della pedonalizzazione del Duomo che ha, di fatto, reso meno comodo e pratico il servizio autobus.

Anche la discussione sulla tramvia fuori dal centro non ha, a mio avviso, contribuito a far crescere nei cittadini la voglia di mezzo pubblico.

Per contro le corsie preferenziali restano le stesse, non aumentano e non sono protette, in continuità con quanto fatto (male) in precedenza e il governo nazionale ha, sciaguratamente, tagliato pesantemente i fondi al trasporto pubblico.

Se dunque si mettono in fila tutti questi provvedimenti che presi singolarmente possono risultare persino piacevoli per il cittadino e si mischiano alla pigrizia, allo scarso senso civico e a una certa ritrosia alle norme del codice della strada, si ottiene una miscela esplosiva a cui la neve ha fatto solo da bianco detonatore.

Perchè Bersani non ha perso

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 15 dicembre 2010

Come non molti prevedevano Berlusconi ha intascato una risicatissima fiducia in entrambe le camere. Forte dell’ennesimo cambio di casacche parlamentare, come già quello che gli consentì nel 1994 di ottenere la maggioranza al Senato, Berlusconi incassa e prosegue. Pochi riescono immaginare per quanto e con quali risultati, visto che partendo da un distacco di quasi 100 deputati è riuscito a fare così poco anche prima degli strappi di Fini.

Chi esce ridimensionato, per non dire distrutto, è Fini che dimostra ancora una volta di essere un personaggio comunque di contorno nel panorama politico italiano, incapace di giocare autonomamente una partita e fiaccato dalla troppa tattica e dai pochi e non chiari orizzonti lunghi.

Chi invece salva la faccia, oltre al serafico Casini, e alla fine forse non porta a casa una sconfitta è il PD di Bersani.  Un PD fortunato per il calendario, con la manifestazione dell’11 dicembre caduta a fagiolo tra la compravendita dei deputati dipietristi e il voto “affondafini”.

Bersani è stato capace di smarcarsi infatti dall’alleato Di Pietro, lasciandolo solo di fronte all’ennesimo passaggio di parte di suoi parlamentari e svuotando così, senza alcuno sforzo, la retorica dell’”unica opposizione a Berlusconi”, risultando il partito dell’ex PM anzi decisivo per la vittoria del governo. Di più si è smarcato, anche qui senza clamore, da Fini il cui abbraccio avrebbe potuto essere mortale per il segretario emiliano. Lo ha fatto con una manifestazione di partito (a vocazione maggioritaria si potrebbe definirla), senza appelli ad essere in piazza agli alleati presenti, passati e futuri e giocando la sua carta migliore; quella retorica pragmatica, fatta di gente comune, di cenni alla vita reale e anche sul fatto di conoscere per davvero quanto costa un litro di latte, dimostrando di essere qualcosa di più e di meglio della sola alchimia di palazzo.

Nessun cedimento nemmeno a Vendola, al quale il PD ha dimostrato di essere capace comunque di una mobilitazione e di una possibile “narrazione” autonoma dalla tattica delle alleanze.

Un Bersani molto poco dalemiano se vogliamo, che si è posto (e il voto di fiducia paradossalmente rafforza) come capo unico e possibile dell’opposizione intanto parlamentare.

Un credito che dovrà esser bravo a salvaguardare, difendendolo dall’iper tatticismo di chi lo consiglierà di giocare la solita partita dell’alleanza con Casini, sia da chi da dentro e da fuori il partito lo bombarderà con critiche continue, seppur magari un po’ più deboli dopo recenti scivolate all’ora della merenda.

Per farcela il segretario dovrà semplicemente continuare come ha fatto in questi giorni, mettendo in campo la sua solita concretezza e rispondendo alle tattiche con quella semplice (ma efficace) domanda: “ma lei lo sa quanto costa un litro di latte?” .

Certezza d’innocenza

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 9 dicembre 2010

E’ stata depositata pochi giorni fa la sentenza con la quale il tribunale di Firenze ha assolto gli allora sindaci di Firenze, Sesto, Campi, Signa, Calenzano  e Scandicci, i loro assessori all’ambiente e l’ex presidente della Regione Claudio Martini e il suo assessore all’ambiente Marino Artusa.

Il processo è quello passato alle cronache come quello al PM10 in cui gli amministratori erano imputati di non aver messo in campo le azioni necessarie a combattere contro l’inquinamento dell’area fiorentina.  Siccome però era un processo penale agli imputati non veniva contestato di non aver adempiuto alla normativa nazionale ed europea in materia ma di aver cagionato, col loro governare, danni alla salute dei cittadini. Un accusa grave dunque.

Ora leggere le sentenze non è mai semplice ma è sempre molto istruttivo. Di solito ci si trova di fronte ai dubbi che ai giudici si sono presentati durante l’inchiesta e, soprattutto, durante il dibattimento. Affiorano perplessità e la responsabilità di decidere della vita di altri uomini. Di solito. Questa volta invece siamo di fronte, almeno a parere di chi scrive, ad una sentenza senza alcun dubbio. Gli imputati sono innocenti e senza tanti fronzoli e tutte le argomentazioni dell’accusa sono analizzate e demolite punto per punto.

Ci si potrebbe fermare alle prime pagine della stessa per capirlo. Quando il giudice estensore descrive le varie perizie resesi necessarie per stabilire se la tesi dell’accusa avesse spessore scientifico ovvero se fosse quella della difesa ad averlo, giungendo alla “presa d’atto della insanabile divergenza delle tesi e conclusioni sull’argomento, in un ambito peraltro di pari dignità scientifica” che di conseguenza, da sola, avrebbe reso gli imputati assolti.

Insomma, aggiungo io, se invece di un processo si fosse fatto un dibattito scientifico ci saremmo potuti accorgere che nessuno ha la bacchetta magica contro l’inquinamento e che questo ha poco a che fare con l’azione penale.

Ma in sintesi la tesi del giudice è che se si guarda a come sono migliorate le condizioni igienico sanitarie dei territori europei in così breve tempo dalla peste manzoniana, anche grazie alla motorizzazione di massa, “le disquisizioni sulla presenza oggi nell’aria del PM10 […] e della sua relativa nocività perdono ogni connotazione drammatica, ed evidenziano come solo popolazioni evolute […] possono porsi in maniera così coinvolgente problemi come quello di cui si occupa il presente processo

Insomma mi rassicura che non sono stato il solo a pensare a questo processo come un azione a dir poco discutibile, che è durata diversi anni, che è costata tempo e denaro a tutti noi, che ha distolto uomini e risorse ad una giustizia penale che, probabilmente, aveva altre priorità.

Il tutto senza che nessuno possa, vista la mancanza una vera legge sulla responsabilità civile dei magistrati, chiedere conto di questo processo, senza poi che la carriera dei magistrati abbia la benché minima traccia del tempo perso.

Nel frattempo una classe politica è stata descritta, per diversi anni, come pericolosa per i cittadini, è stata inquisita, processata e infine giudicata. Innocente.