Fino a quest’anno ho mantenuto la tradizione di inviare la newsletter di questo vecchio blog con gli auguri di Natale. Un’unico invio all’anno con un’immagine e una frase d’augurio. Non credo nessuno se l’aspettasse ma era un piccolo rito per me. Però i sistemi anti spam ogni anno bloccavano quasi tutta la posta, il Regolamento (sacrosanto) sulla privacy mi imponeva o di sostenere un costo per l’invio utilizzando servizi efficienti o di passare molto tempo dietro l’invio di quell’unico messaggio, così quest’anno non ci sarà nessun invio e, lo ammetto la cosa mi spiace abbastanza, ma in fondo le cose devono cambiare e noi dobbiamo farcene una ragione.
Insomma tutto questo inutile pippone solo per dirvi che gli auguri ve li faccio così, con questa immagine generata dall’IA, e con la speranza di un sereno Natale e sopratutto di un 2024 finalmente in pace e felicità.
Non ci si dovesse vedere #auguri a voi e famiglia!
L’unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante. Quando manca questo senso – prigione, malattia, abitudine, stupidità, – si vorrebbe morire. (Cesare Pavese)
La Fondazione Circolo Fratelli Rosselli mi ha chiesto un intervento per la loro sezione Idee e proposte per l’emergenza sul crash del sito INPS al momento dell’attivazione delle domande per il bonus da 600 Euro per i lavoratori autonomi. Se vi va, il mio pezzo lo trovate qui
Siamo sommersi dalle
informazioni. Numeri, tabelle, grafici. Andamento dei casi, diffusione
dell’epidemia, numero dei morti. Sui social ci scopriamo tutti virologi, come
reazione alla nostra paura di non sapere.
Io in questi casi mi rifugio in
quelli che sono stati i miei studi e quello di cui dovrei, ma non è
necessariamente detto, capire qualcosa di più. Così mi sono letto il volume di
Laura Spinney, 1918 L’influenza spagnola, la pandemia che cambiò il mondo,
Marsilio editore.
Dalla storia non si apprende
niente, mi dicevano i miei maestri, se pensiamo che questa si ripeta sempre
uguale. Aggiungo io, nonostante l’affetto per il vecchio Karl, anche se
pensiamo che si ripeta due volte sotto forma di tragedia e di farsa.
La storia può darci però
un’indicazione sulle persistenze e sulle rotture. Su cosa rimane immutato (o
cambia con lentezza estrema) e cosa muta, magari drasticamente, di fronte
all’incalzare del tempo.
Vale anche per le epidemie e
cercare nell’influenza che falcidiò il mondo tra il 1918 e il 1920 un modello
ripetibile oggi sarebbe l’equivalente di affidarsi al volo delle rondini per
predire il futuro.
Il mondo di oggi è completamente
diverso, la tecnologia, la medicina, il fatto che non ci sia in Europa una
guerra mondiale devastante in atto sono modificazioni gigantesche che rendono
impossibile una comparazione.
Tuttavia, le linee di persistenza
rimangono e forse aiutano a capire o magari consolano. Sapere che l’umanità è
passata da qualcosa di simile potrebbe aiutarci. Sapere che siamo sopravvissuti
a pandemie devastanti da Uruk a Perinto, da Ippocrate all’OMS, ci dona una
speranza e un conforto di fronte alle nude cifre dei bollettini serali.
Ci dà anche un’idea se le misure
in atto hanno una qualche efficacia e beh, spoilerando un po’, posso dire che
sì, storicamente hanno avuto un senso. Mentre la tesi di Boris Johnson
sull’immunità di gregge contrasta con il fatto che l’epidemia spagnola ebbe tre
fasi acute e drammatiche e che le successive due colpirono gli stessi luoghi
della prima. Questo in condizioni di contenimento dell’epidemia ben peggiori
delle nostre e quindi con un contagio stimato tra il 70 e l’80 per cento della
popolazione, ben sopra quelle che gli scienziati ci dicono essere le
percentuali dell’immunità di gregge. Immunità che, probabilmente, si raggiunge
davvero con un vaccino.
Nel 1918 la scienza e la medicina
si presero, almeno nel mondo occidentale, la scena e contribuirono a far
passare nelle persone l’idea della vaccinazione, dell’igiene, della profilassi;
queste misure anche se non strettamente connesse alla battaglia contro
l’influenza, contribuirono decisamente al miglioramento delle condizioni di
vita delle persone. A New York questo si tradusse in un miglioramento della
vita dei nostri emigrati che uscirono da una condizione di ghetti insalubri e
pochi anni dopo arrivarono persino ad eleggere uno di loro sindaco, Fiorello La
Guardia.
Ma lo studio dei comportamenti durante l’epidemia della spagnola ci aiuta anche a capire che ci sono alcune istintività contrastanti in noi da una parte scrive la Spinney “i numeri [illustravano] quello che le persone avevano compreso con l’istinto; un accadimento comincerà a esaurirsi quando la densità di individui suscettibili sarà scesa sotto una certa soglia”. Cioè stiamo a casa, isoliamoci, e il contagio terminerà prima. Dall’altra parte però “anche se i medici ripetono di tenerci lontani dagli individui infetti durante un’epidemia noi tendiamo a fare il contrario. Perché? Una risposta, valida soprattutto nei tempi antichi, potrebbe essere la paura di una punizione divina. […] Un’altra risposta potrebbe essere la paura dell’ostracismo sociale una volta passato il pericolo. O forse è semplicemente inerzia. [..] Gli psicologi suggeriscono una spiegazione ancora più interessante. Sono convinti che la resilienza collettiva nasca dalla percezione di sé stessi nelle situazioni di pericolo: non si identificano più come individui, ma come membri di un gruppo”.
Il che non giustifica quelli che
vanno a fare passeggiate nei parchi cittadini invece che stare a casa ma forse
ci aiuta a comprenderne le ragioni e convincerli che, secondo me, rimane sempre
– anche durante una pandemia – preferibile al mandare l’esercito per le strade.
Naturalmente anche durante
l’epidemia della spagnola non mancarono le polemiche sulle misure adottate e
sul loro rispetto. Chiusure di esercizi commerciali, bar, teatri e cinema erano
considerate a ragione essenziali dalla scienza ma malviste dalle autorità
politiche che tardarono o evitarono del tutto di adottarle. Laddove, come a New
York, furono adottate l’epidemia fece molti meno danni cha altrove. Sul mancato
rispetto si distinse, soprattutto in Spagna, invece la Chiesa Cattolica che non
rinunciò a riti e enormi processioni di massa per scacciare il contagio, che
ebbero invece l’effetto di propagare il morbo. In questo la decisione di
Francesco I di chiudere da subito le Chiese ha l’indubbio merito di aiutare la
prevenzione del virus ma rappresenta, a mio avviso, uno degli elementi di
rottura più epocali di questa pandemia.
Infine più controversa fu allora
la decisione di lasciare aperte le scuole, ritenute più sicure e più salubri
delle abitazioni per i fanciulli dell’epoca e naturalmente non mancarono anche
allora forti polemiche e tensioni sull’uso delle mascherine. Fu tuttavia in
quell’occasione che nacque la consuetudine per i Giapponesi di indossarla anche
per il comune raffreddore. Chissà se lo faremo anche noi d’ora in poi.
Insomma ci siamo già passati, il che non elimina la paura, non cancella il lutto e non lenisce il dolore ma magari aiuta a passare più speranzosi il tempo.
« Lombroso è un emerito coglione». Il compagno Ossipon sostenne l’urto di questa bestemmia con un impressionante sguardo vuoto. E l’altro, i cui occhi spenti e offuscati facevano apparire più nere le ombre profonde sotto la fronte ampia e ossuta, mugugnò, afferrandosi ogni due parole la punta della lingua fra le labbra come se la masticasse con rabbia: «Ma voi un idiota simile lo avete mai visto? Per lui, il criminale è il detenuto. Semplice, no? E quelli che lo hanno messo in prigione, che lo hanno costretto ad entrarvi? Proprio così. Costretto a entrarvi. e il crimine, che cos’è? Lo sa lui cos’è, quest’imbecille che si è fatto strada in questo mondo di idioti rimpinzati di cibo guardando le orecchie e i denti di un mucchio di poveri diavoli sfortunati? Sarebbero i denti e le orecchie a imprimere il marchio al criminale? Ma davvero? E la legge allora, che gli imprime il marchio ancora meglio, questo grazioso strumento per marcare a fuoco inventato dai supernutriti per proteggersi dagli affamati? Applicazioni col ferro rovente sulla loro pelle vile, eh? Non lo sentite anche da qui l’odore e il rumore della pellaccia del popolo che brucia e sfrigola? Ecco come si fabbricano i criminali, perché i tuoi Lombroso ci possano scrivere su le loro baggianate.»
E’ con questa riflessione sulla giustizia di Joseph Conrad tratta da “l’Agente segreto” che vi faccio i miei migliori auguri per queste festività e per il 2020. Un anno che in quanto a giustizia e potere si preannuncia preoccupante. Senza, per noi, nemmeno il conforto delle parole, della voce e dell’intelligenza di Massimo Bordin. Quanto manca ancora Direttore…
Se c’è un colpo di batteria che ha cambiato il mondo non c’è dubbio che questo sia quello con cui inizia Like a Rolling Stone, pezzo che apre Highway 61 Revisited l’album di mezzo della trilogia d’oro di Bob Dylan e probabilmente quello che lo consacra, con il successivo Blonde on Blonde, nell’olimpo della musica.
Siamo nel 1965, Dylan col suo cesto di capelli ribelli, la sua voce non propriamente aggraziata ha intrapreso prima timidamente con Bringing It All Back Home poi più decisamente con questo disco la conversione all’elettrico, facendo storcere il naso ai vecchi fans, ma spalancandosi il mondo dei giovani che prepareranno il ’68. In questo mondo di culture che si incontrano preparando lo scontro capita che Dylan trovi sulla sua strada un fotografo allora già abbastanza affermato che pubblicava sulle principali riviste, Jerry Schatzberg e lo inviti nello studio in cui in appena sei giorni compose quello che oggi consideriamo un capolavoro.
L’incontro funziona, Schatzberg inizia a seguire Dylan nel suo lavoro in studio ma anche nelle serate in cui si esibisce. Da lì il passo è breve e chiede a Dylan di “posare” per lui. Ma siamo negli anni ’60: nessuno studio, nessuna luce studiata. Escono fuori foto sgranate, imperfette, da cui emerge tutta la voglia di sperimentare di un artista che, forse inconsciamente, ha capito che sta cambiando qualcosa di più della vecchia chitarra acustica per una elettrica. Per Schatzberg è una illuminazione, tempo dopo dirà “come soggetto fotografico, Dylan era il migliore. Bastava puntargli addossol’obiettivo e le cose accadevano” e da quelle foto Dylan sceglierà quella della copertina dell’altra pietra miliare della sua produzione di quegli anni Blonde on Blonde. Quella di lui col cappotto marrone e la sciarpa a quadretti, i capelli arruffati.
Le strade dei due si divideranno come capita, ma non smetteranno mai una certa propensione al cambiamento, Dylan nella musica fino al riconoscimento massimo del Nobel, Schatzberg nella sua “seconda” carriera di regista cinematografico.
Oggi Skyra ripubblica quegli scatti nel volume Dylan/Schatzberg, che riunisce gli scatti di quel periodo alternati a interviste a Bob Dylan dell’epoca compresa la celebre intervista di Al Aronowitz “A night with Bob Dylan” apparsa sul New York Herald Tribune sempre nel 1965. Un libro dunque necessario, che ci testimonia un artista nelmomento della sua, probabilmente, più travolgente capacità di innovare e un periodo in cui tutto sarebbe potuto accadere e che da cui poi, in effetti, molto è accaduto.
Grazie al sito speedynews.it torno alla mia vecchia passione di birrafondaio con una rubrica, a uscita casuale, di degustazioni birricole. Si inizia questa settimana con una Italian Pale Ale dal costo sorprendente ma da gusto non proprio eccitante.
Da quando le birre artigianali hanno cominciato ad uscire dal mondo un po’ carbonaro di qualche centinaio di appassionati e sono apparsi al palato dei degustatori retrogusti di bosco lappone (malattia per la quale abbiamo sempre preso in giro i più quotati e pagati degustatori di vino) il prezzo e la diffusione delle birre artigianali ha sempre contribuito a relegare tali birre nel novero delle “mode” o delle bevute chic. Così la birra, pur uscendo dal fantozziano stereotipo del bottiglione da 66cl di bionda ghiacciato, ha finito per affiancare l’altro stereotipo di “birra artigianale” come prodotto fighetto da abbinare, quasi sempre sbagliando, a cene elaborate.
Dopo tanti mesi e proprio grazie alle tante sottoscrizioni, oltre che al nostro editore NEM, che ci hanno permesso di sopravvivere abbiamo deciso di tornare a distribuire liberamente Cuco sulla rete. Lo abbiamo fatto, come spieghiamo qui sotto, soprattutto perchè in tempi come questi diffondere la cultura ci pare operazione necessaria. Speriamo quindi che ci leggiate, scarichiate, diffondiate ancor di più. E che vogliate condividere e commentare sempre più quello che noi e i nostri collaboratori scriviamo ogni settimana.
Nell’ottobre dello scorso anno, grazie ai vostri abbonamenti, Culturacommestibile.com ha potuto continuare a vivere, tanto che è stato possibile, dal numero di oggi, tornare in chiaro. Vi ringraziamo tutti di cuore. Abbiamo deciso di tornare all’accesso libero alla nostra rivista settimanale per allargare il pubblico, fare di Cultura Commestibile uno strumento di più ampia discussione sui temi della cultura perché ci pare che il tempo – non particolarmente favorevole a chi si occupa di questi temi – lo richieda. Il nostro vuole essere un contributo ad allargare, arare e seminare il campo della cultura. Una voce libera, non di parte (se non della cultura, appunto), né utile a qualcuno, che vive dell’attenzione e della partecipazione dei suoi lettori. Continuerete quindi a ricevere via mail la nostra rivista e vi chiediamo di promuoverla, di farla conoscere, di girarla alla vostra mailing list. Stiamo pensando ad un programma, dopo il successo del volume “Dalla parte di Marcel”, di nuove edizioni cartacee degli articoli pubblicati sulla nostra rivista on line e di contributi originali. Come stiamo programmando una serie di iniziative, collegate agli eventi di NEM (che edita e promuove la rivista), e di presentazione e discussione attorno a libri e temi che ci paiono interessanti, per poter continuare la nostra attività. Il primo di questi si svolgerà martedì 5 maggio alle ore 17 alla Biblioteca delle Oblate nel quale discuteremo del libro di Nicola Capone “Liberta ̀ di ricerca e organizzazione della cultura”. Contiamo ancora sul vostro sostegno e sulla simpatia che ci avete manifestato. Ci leggiamo ogni sabato e ci vediamo in giro.
L’editore e la Redazione
Il numero 74 si può leggere e scaricare gratuitamente a questo indirizzo http://issuu.com/culturacommestibile/docs/rivista74/1?e=6174642/7704955
ttobre dello scorso anno, grazie ai vostri abbonamenti, Culturacommestibile.com ha potuto continuare a vivere, tanto che è stato possibile, dal numero di oggi, tornare in chiaro. Vi ringraziamo tutti di cuore. Abbiamo deciso di tornare all’accesso libero alla nostra rivista settimanale per allargare il pubblico, fare di Cultura Commestibile uno strumento di più ampia discussione sui temi della cultura perché ci pare che il tempo – non particolarmente favorevole a chi si occupa di questi temi – lo richieda. Il nostro vuole essere un contributo ad allargare, arare e seminare il campo della cultura. Una voce libera, non di parte (se non della cultura, appunto), né utile a qualcuno, che vive dell’attenzione e della partecipazione dei suoi lettori. Continuerete quindi a ricevere via mail la nostra rivista e vi chiediamo di promuoverla, di farla conoscere, di girarla alla vostra mailing list. Stiamo pensando ad un programma, dopo il successo del volume “Dalla parte di Marcel”, di nuove edizioni cartacee degli articoli pubblicati sulla nostra rivista on line e di contributi originali. Come stiamo programmando una serie di iniziative, collegate agli eventi di NEM (che edita e promuove la rivista), e di presentazione e discussione attorno a libri e temi che ci paiono interessanti, per poter continuare la nostra attività. Il primo di questi si svolgerà martedì 5 maggio alle ore 17 alla Biblioteca delle Oblate nel quale discuteremo del libro di Nicola Capone “Liberta ̀ di ricerca e organizzazione della cultura”. Contiamo ancora sul vostro sostegno e sulla simpatia che ci avete manifestato. Ci leggiamo ogni sabato e ci vediamo in giro. – See more at: http://www.culturacommestibile.com/nem_site/articolo/Cultura+Commestibile+n+74/#roll_r
Nell’ottobre dello scorso anno, grazie ai vostri abbonamenti, Culturacommestibile.com ha potuto continuare a vivere, tanto che è stato possibile, dal numero di oggi, tornare in chiaro. Vi ringraziamo tutti di cuore. Abbiamo deciso di tornare all’accesso libero alla nostra rivista settimanale per allargare il pubblico, fare di Cultura Commestibile uno strumento di più ampia discussione sui temi della cultura perché ci pare che il tempo – non particolarmente favorevole a chi si occupa di questi temi – lo richieda. Il nostro vuole essere un contributo ad allargare, arare e seminare il campo della cultura. Una voce libera, non di parte (se non della cultura, appunto), né utile a qualcuno, che vive dell’attenzione e della partecipazione dei suoi lettori. Continuerete quindi a ricevere via mail la nostra rivista e vi chiediamo di promuoverla, di farla conoscere, di girarla alla vostra mailing list. Stiamo pensando ad un programma, dopo il successo del volume “Dalla parte di Marcel”, di nuove edizioni cartacee degli articoli pubblicati sulla nostra rivista on line e di contributi originali. Come stiamo programmando una serie di iniziative, collegate agli eventi di NEM (che edita e promuove la rivista), e di presentazione e discussione attorno a libri e temi che ci paiono interessanti, per poter continuare la nostra attività. Il primo di questi si svolgerà martedì 5 maggio alle ore 17 alla Biblioteca delle Oblate nel quale discuteremo del libro di Nicola Capone “Liberta ̀ di ricerca e organizzazione della cultura”. Contiamo ancora sul vostro sostegno e sulla simpatia che ci avete manifestato. Ci leggiamo ogni sabato e ci vediamo in giro. – See more at: http://www.culturacommestibile.com/nem_site/articolo/Cultura+Commestibile+n+74/#roll_rub