La battaglia delle idee

20130502-192723.jpgDomani, venerdì 3 maggio, torno in edicola con una piccola rubrica sul Corriere Nazionale – Qui Firenze riprendendo l’abitudine interrotta con la chiusura del Nuovo Corriere di Firenze. I temi saranno i miei usuali, la politica, l’economia e la società con un occhio speciale su Firenze. Il titolo della rubrica è decisamente impegnativo – la battaglia delle idee – visto il precedente sicuramente “migliore”.

Il primo articolo è dedicato alle risorse del governo Letta; alla ricerca delle quali tutti si affannano ma che, forse, non sono così importanti. Vi aspetto domani in edicola.

 

 

Tutt’altro che brevi cenni sull’universo (i 60 giorni che inchiodarono la Repubblica).

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Siccome sono un po’ di giorni che i miei dieci lettori mi fanno troppi complimenti per quello che dico nella sintesi dei 140 caratteri di twitter, sento l’urgenza di fare arrabbiare un po’ tutti mettendo giù qualche nota sparsa sulla situazione politica e sugli ultimi estenuanti 60 giorni delle istituzioni politiche italiane. Nessuna pretesa di esaustività, anzi, né di una logica tra, e in, quello che scrivo. Giusto un po’ di pensieri sparsi da offrire e facilissimi ad essere smentiti persino nei prossimi minuti. Un’unica avvertenza di metodo, soprattutto a me stesso, nessun interesse al contingente, sia esso il governo, il destino di questo o quello o gli appuntamenti interni alla vita dei partiti, ma solo temi generali come si compete ad uno spettatore interessato.

1)      La generazione playstation. Ho sempre pensato che la fila fosse sinonimo di civiltà; si trattasse di prendere un autobus, fare un prelievo al bancomat, progredire all’interno di una organizzazione sociale. Oggi invece, anche a causa di un paio di generazioni messe a tappo dell’intera società italiana (i meccanismi di cooptazione non hanno saputo adeguarsi all’allungamento della vita), è diventato di moda saltare la coda e fare vanto della propria inesperienza, almeno in politica. Così non ci sogneremo mai di farci difendere in un processo penale in cui rischiamo la galera dall’ultimo dei praticanti di uno studio legale, abbiamo invece affidato buona parte della vita dei partiti e delle istituzioni a degnissime persone, spesso brave e preparate, che però hanno iniziato la loro esperienza politica un minuto prima (talvolta persino un minuto dopo) essere elette. Il fatto che tutto questo lo si sia ammantato di merito, intendendo per merito le capacità extrapolitiche che indubbiamente molti di questi nuovi protagonisti hanno, ai miei occhi risulta come aggravante. Così abbiamo oggi in molte istituzioni e partiti politici una generazione che non ha mai giocato davvero a calcio pensando che fosse sufficiente essere dei campioni alla playstation. Da qui una sottovalutazione delle prassi, delle liturgie istituzionali (la cui conoscenza è indispensabile se le si vuole sovvertire) che porta a innocue goliardate come votare Mascetti alla Presidenza della Repubblica (atto apparentemente innocuo ma significativo del clima da gita scolastica) o al pensare che male non farà dare un po’ di schede contro Prodi giusto per vedere l’effetto che fa. Solo che poi, mancando mestiere e regia, finisce che le schede sono troppe e tutto crolla.

2)      Questione Morale o questione politica. Passi trent’anni a dirti la parte sana e migliore del Paese e finisce che non solo ci credi ma condisci ogni dissenso dal tuo bene comune come tradimento o crimine. Ci riflettevo ieri sera quando un giovane, evidentemente non anagraficamente figlio delle tradizioni politiche novecentesche, ha detto “noi siamo il PD buono”. Allora mi è tornato in mente Natta (che mi pare Guido Vitiello giorni fa ha ritrovato su facebook) che criticava l’intervista di Berlinguer sulla questione morale. Diceva Natta che Berlinguer aveva commesso un tragico errore nell’avere posto non una questione politica ma una questione morale. Oggi possiamo dire che aveva ragione e che il clima di odio (sì odio) che si avverte nella società prima che nei gruppi dirigenti è la dimostrazione che la spaccatura nel Paese non è tra linee politiche ma tra linee morali, il bene e il male (sia chiaro analogo discorso vale a parti invertite dove anche larga parte del popolo di destra odia la sinistra). Occorrerebbe che la politica abbandonasse il campo immediatamente e non impostasse campagne elettorali involontariamente orwelliane (l’Italia migliore) e lasciasse alla cultura e persino alle religioni il compito di pacificare il Paese. Dovremmo impegnarci a farci almeno un amico (virtuale o reale) della parte avversa e conoscendolo vedere che ci somiglia molto più di quanto ci divida la scelta politica. Occorrerebbe anche rivalutare Natta, se non politicamente almeno culturalmente. Un operazione che la trasformazione in santino di Enrico Berlinguer ha sinora impedito. Penso e spero che a partire da quell’articolo che citavo presto qui o su qualche rivista possa proporvi una rilettura di Natta e della sua “diversità”.

3)      Un partito in Barca. Ho letto il documento di Barca. Occorrerà tornarci e discuterne approfonditamente. Conto di farlo da queste parti appena avrò un po’ di tempo per scrivere seriamente. La prima impressione è quella intanto di un metodo nuovo, seppur antico. Non ci si è limitati a una brochure colorata o una infografica ma si è scritto un saggio di 55 pagine con note e bibliografia. C’è fatica e c’è rispetto in siffatta maniera. Sul piano dei contenuti però la prima cosa che salta all’occhio è il tentativo, non proprio modernissimo, di coniugare Gramsci con Amartya Sen. Mi verrebbe da dire si accomodi. Sono circa venti anni che ci hanno (abbiamo se mi passate l’immodestia) provato. Ogni volta però il limite è stato di prendere in Gramsci le parti relative all’organizzazione e al partito e in Sen le parti economiche. Forse occorrerebbe prendere la lettura della società di Gramsci e il concetto di politica che deriva dalla declinazione di Libertà di Sen perché l’esperimento abbia buoni frutti.

4)      Divergenze tra me e il compagno Pannella. Criticare Marco Pannella non è mai operazione semplice, non tanto per la sua grande storia ma per la sua capacità spesso divinatoria di leggere la politica e la società italiana (una volta magari riusciti a dipanare qualcuno dei mille rivoli della sua oratoria). Però sulle sue critiche al presidente Napolitano mi spiace ma (per quel che conta) non sono d’accordo. Pannella parte dal condivisibile punto che Bonino sarebbe stata meglio di Napolitano e ne addita responsabilità anche allo stesso Napolitano. Certo il Presidente ha fatto un (grandissimo) discorso di (auto)investitura molto assolutorio verso se stesso e come lui ha inteso e agito la sua carica istituzionale nel primo settennato. Quello che però contesto a Pannella è una tendenza egualmente assolutoria nei confronti del suo partito (o della sua galassia). Ok il regime, ok la partitocrazia imperante ma forse causa dell’annientamento elettorale dei radicali è anche un gruppo dirigente tra i più immobili che il partito ha avuto nella sua lunga e gloriosa storia. Perché la partitocrazia e il regime sono ovunque ma in Puglia le firme le raccolgono nel nord no. Sia chiaro stiamo parlando di persone serie, preparate e con una passione e un impegno smisurati, tuttavia non capaci, a mio avviso, di essere nuovi, innovatori, come sempre sono stati i radicali. E non c’entra nulla la storiella di Pannella che mangia i suoi figli, Pannella quando dissente semplicemente si ferma e come ogni stella intorno alla quale ruotano sistemi solari, quando si bloccano i corpi celesti collassano su sé stessi. Credo che per il bene dei radicali (e dunque dell’intero Paese) una nuova fase politica di quel soggetto sia necessaria, aldilà delle figure e delle persone che la incarneranno.

5)      Avanti il gran Partito. Collegandomi con quanto scritto sopra l’ultimo punto lo dedico al PSI di Nencini. Nel marasma generale quel partito mi è apparso, almeno nel centrosinistra, la forza politica che meglio esce da questi 60 giorni di delirio. Una posizione coerente sul Presidente della Repubblica, nessun tradimento dell’alleanza e dei suoi leader e una posizione chiara sul governo. Certo, direte, è facile farlo quando non si è determinanti ma anche avere coscienza dei propri limiti è grande pregio per una politica in cui abbiamo visto partiti del 3% pretendere propri esponenti alla guida delle istituzioni, dettare linee di governo e pontificare sempre e comunque. Certo non dimentico che Nencini è quello dell’accordo in cassaforte con Manciulli o quello che mentre faceva le manifestazioni contro la riforma della legge elettorale per le europee perché estrometteva i piccoli partiti, contemporaneamente votava la riforma del “cinghialum” toscano che provocava lo stesso effetto. Tuttavia in questa fase, per me, si è ben mosso e la sua proposta di rimettere in piedi un ragionamento sulla sinistra laica e socialista mi pare una  vecchia novità necessaria non per dar vita all’ennesimo partitino ma perché quelle tradizioni non siano assenti da questo (speriamo non infinito) dibattito.

 

Stalinismo all’epoca di google (l’Italia Giusta).

FotosinTrotsky

Chiara Di Domenico, per qualche merito a me ignoto, è salita sul palco di una iniziativa nazionale della campagna elettorale del PD. Chiara Di Domenico, per qualche merito a me ignoto, ha preso la parola sul palco di una iniziativa nazionale della campagna elettorale del PD e ha attaccatto Giulia Ichino perchè, dall’età di 23 anni lavora in Mondadori. Chiara Di Domenico su quel palco ha detto che Giulia Ichino lavora in Mondadori perchè figlia di Ichino, giuslavorista e fino a qualche settimana fa senatore del partito che, per qualche merito a me ignoto, la faceva parlare in quella iniziativa. Giulia Di Domenico poi  ha, tranquillamente, ammesso che non conosce né Giulia Ichino né la sua storia professionale ma ” […] basta scrivere su google il suo nome per scoprire qual è la sua storia […]”.

Ora che siffatta roba stia tra la cialtroneria e la diffamazione pare a me piuttosto evidente ma quello che mi inquieta è l’abbraccio che le ha tributato il segretario Bersani alla fine del suo intervento. Immagino che Bersani con quel gesto abbia voluto da un lato essere un padrone di casa affettuoso e dall’altro riferirsi all’intero intervento e non al solo attacco alla figlia di un suo ex senatore; tuttavia se “le parole per l’Italia Giusta ” (il titolo dell’iniziativa) sono queste (e al momento non mi risultatno prese di posizioni differenti da parte del PD)  mi corrono brividi lungo la schiena, perchè quel “giusta” rischia di suonare tristemente intollerante e totalitario.

Insomma viene il dubbio che si sia  alla fase della farsa della storia (per dar ragione al vecchio Marx), per cui si continua a condannare il traditore (fortunatamente non lo si sbatte più in Siberia)  ma occorre colpire tutta la sua famiglia. Non vorremmo che, cercando su google, trovassimo anche le foto del gruppo al senato del PD della passata legislatura sbianchettate proprio della figura di Ichino.

Ps. Per chi volesse qui trova la risposta di Giulia Ichino dalla quale pare che di raccomandazioni ne abbia avute ben poche.

Alla fine di un anno faticoso

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L’anno non è ancora finito e già siamo stanchi. Eppure molte cose rimangono da fare per molti di noi in queste ultime settimane, tanto che a volte ci viene volgia di tifare per i Maya.

Tra le tante cose importanti che ognuno di noi ha da portare a termine in quest’ultimo scorcio di 2012 ne voglio ricordare una sola: la battaglia che Marco Pannella sta combattendo con il suo corpo per l’aministia, la giustizia e la libertà.

Lo fa per tutti noi, per primi per i carcerati, gli ultimi. Lo fa ricordando la visita di Giovanni Paolo II al Parlamento, i tanti sacerdoti che sono spesso gli unici, insieme al personale del carcere e della polizia penitenziaria, a dare conforto ad una umanità che anche quando colpevole non merita le condizioni inumane in cui si trova.

Carcere luogo di tortura senza torturatori, con il 40% dei detenuti in attesa di giudizio. Potenzialmente innocenti dunque e con 200.000 prescrizioni l’anno, una amnistia di classe, per chi si può permettere bravi avvocati.

Poi Pannella è un vecchio satrapo che sta sulle palle a tanti di voi, ma questo non vuol dire che le cose per cui lotta non siano giuste. Visto che molti di voi voteranno (magari si candideranno pure) alle primarie del PD e che più o meno tutti voteremo a febbraio per il prossimo parlamento, chiedetevi chi tra i partiti e i candidati potranno dedicare un po’ del loro tempo a questi temi.

Quest’anno per i miei auguri ho “rubato” una frase che il mio amico Mario Setti usa per concludere le sue mail “salta e la rete apparirà!”. E’ una frase che ci invita ad avere coraggio nelle nostre scelte. Pannella il suo salto lo ha fatto, la sua unica rete possibile siamo tutti noi.

Buon Natale e felice anno nuovo a tutti voi.

Michele

Sleeping Santa

Domani poi alle primarie che fai?

Come è probabilmente noto, non credo più nel progetto del PD da un po’ di anni. Non è questo il luogo e il momento per spiegare i tanti perché, ammesso che a qualcuno interessino ancora.

Tuttavia considero il centrosinistra il mio campo, la mia dimensione politica. Magari un centrosinistra più socialista e liberale ma tant’è. Fatto sta che quello che accade in questo campo mi interessa e in parte mi appartiene, come le primarie di domani.

Dicessi che domani si confrontano politici che mi rappresentano a pieno mentirei sapendo di mentire. Vedo rigurgiti di togliattismo e una chiusura verso la lettura storica, per esempio, del New Labour solo in funzione di contrasto all’avversario del momento che ricorda il marito che si taglia gli attributi per far dispetto alla moglie.

Oppure vedo un modo di far politica che è fatto di semplificazione, mezze verità, bisogno sempre di fare la frase ad effetto e nessuna attenzione alla consequenzialità di quello che si dice con quello che realmente si potrà fare o che importerà davvero fare. Una eterna rincorsa al più uno che ha l’impressione del movimento perenne e che invece, per me, è un eterno tapis roulant in cui si dura un sacco di fatica per rimanere fermi e in cui poi comandano sempre in meno e sempre i soliti.

Sarà come dice Marco Pannella che spesso si è costretti a scegliere tra “buoni a nulla contro capaci di tutto” ed io, istintivamente, provo simpatia per i primi piuttosto che per il secondo. Sarà perché sono un vecchio arnese della politica (il copyright nei miei confronti è di Graziano Cioni) e ho letto troppe volte il gattopardo soffermandomi su quella frase che dice il Principe di Salina: “noi fummo i gattopardi, i leoni. Chi verrà dopo di noi saranno le iene e gli sciacalletti; ma tutti, iene, leoni, gattopardi e sciacalletti si sentiranno il sale della terra”.

Insomma sarà per tutto questo e per qualcosa ancora che domani con tanti dubbi il mio voto andrà a Pierluigi Bersani.

 Poi da lunedì di nuovo a far le bucce a tutto e tutti. Ostinatamente libero.

 

 

Renzi, le primarie e l’Apocalisse.

Se Julian Castro, giovane sindaco di San Antonio, leader emergente dei democratici americani avesse annunciato che in una certa data avrebbe descritto le sue idee per il giorno del Giudizio, dubito che i media americani avrebbero dato alla notizia un’evidenza entusiastica e massiccia alla cosa o che avrebbero passato i mesi dall’annuncio alla manifestazione intervistando Castro e chiosandone ogni battuta. Al massimo Jay Leno avrebbe mostrato un fotomontaggio di Castro in barba bianca e cartello con scritto la fine è vicina o Letterman avrebbe inventato la classifica dei 10 modi di passare l’ultimo giorno dell’umanità con Julian Castro.

Eppure l’Apocalisse biblica è un evento a cui milioni di persone credono,  annunciato da un personaggio autorevole e titolato a farlo, l’evangelista Giovanni, e di cui abbiamo un’idea seppur sommaria dello svolgimento e molti anni di discussioni su tutto, compreso su come selezionare i partecipanti.

Oggi, mentre scrivo, la quasi totalità dei media italiani è a Verona ad ascoltare Matteo Renzi, giovane sindaco di Firenze, leader emergente dei democratici italiani, descrivere le sue idee per le primarie del PD, dopo che negli scorsi mesi gli stessi media hanno dato alla notizia un’evidenza entusiastica e massiccia e intervistato Renzi su ogni cosa e chiosato ogni sua battuta.

Eppure le Primarie del PD sono un evento a cui milioni di persone credono, annunciate da un personaggio autorevole e titolato a farlo, il segretario Bersani, e di cui abbiamo un’idea sommaria dello svolgimento e molti anni di discussioni su tutto, compreso su come selezionare i partecipanti.

Tutto questo per ricordarsi come la scelta di guardare il dito o la luna  dipenda ormai troppo spesso da cosa inquadrano le telecamere.

 

Se le banche non prestano, io do ragione alle banche.

Oggi mi sa che scriverò una cosa che non piacerà a molti. Perché oggi di fronte alla cacofonia di quelli che si indignano (uno degli stati umani più sterili ormai) di fronte alle banche che non farebbero il loro lavoro, non prestando soldi alle imprese, io, scusatemi, mi schiero dalla parte delle banche.

Perché non prestando soldi a imprese sempre più a rischio (questo dice il bollettino della BCE quando parla di insolvibilità delle imprese italiane) le banche fanno proprio il loro mestiere: tutelare il risparmio raccolto, cioè i nostri soldi.

Perché li vorrei vedere gli indignati se scoprissero che i loro risparmi non ci sono più perché la loro banca ha prestato soldi a imprese non in grado di onorare i prestiti.

Proprio la genesi di questa crisi sta nel fatto che le banche (americane ma non solo) hanno prestato a cani e porci senza alcuna garanzia o gonfiando il valore delle garanzie (mobiliari ma soprattutto immobiliari).

Di fronte a questo non ha senso urlare alle banche di fare credito all’impresa, peraltro dicendogli anche contemporaneamente di investire in titoli di stato per ridurre il famigerato spread. Come penso chiunque possa intuire essendo la capacità economica finita se i soldi li metti in bot non li presti.

Però, si dirà, la stretta sulle imprese è davvero ogni giorno più insopportabile. Vero, verissimo anzi. Ma non è il generico appello alle banche o il rappresentarle come la mefistotelica quint’essenza del male che risolverà il problema. Sia chiaro le banche hanno enormi responsabilità nella crisi e godono di enormi irresponsabilità nel pagarne i prezzi, ma rispetto al problema di come ridare ossigeno (soldi) alle imprese italiane non è intervenendo retoricamente sulle banche, a mio avviso, che si troverà la soluzione.

Cosa fare allora? Intanto le aziende italiane vantano crediti con le pubbliche amministrazioni o coi grandi gruppi industriali enormi. Passera aveva detto all’insediamento che sarebbe intervenuto. Finora si è fatto poco o niente e persino Alfano se n’è accorto e propone misure che da anni due deputati (un PD e un radicale) propongono all’aula di Montecitorio e che una Direttiva europea imporrebbe al Paese. Intervenire su questo tema con crediti d’imposta, certificazione del debito, persino pagamenti con titoli di stato avrebbe un effetto immediato salvando centinaia di aziende, tecnicamente sane, dal fallimento.

Perché quando sento politici locali, autorevolissimi, vantarsi del fatto che qui da noi le PA pagano con una media di 90 giorni li inviterei a rimanere loro per tre mesi senza stipendio e poi parlare.

Altro tema ormai non più rimandabile è quello della pressione fiscale. Sia quella sul lavoro che quella sui soldi che gli imprenditori potrebbero reinvestire in azienda, lavoro o ricerca, con un effetto moltiplicatore che nessuna riduzione di scoperto di conto corrente potrà mai dare.

Infine, si fa per dire, intervenire sulla selva burocratica e sulla riforma della giustizia civile per rendere il fare impresa in questo paese qualcosa di possibile e conveniente.

Poi prendiamocela pure con le banche brutte e cattive ché i motivi non mancano, ma intanto facciamo ripartire questo Paese.

La Liberazione del Carcere

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 26 Aprile 2012.

Quando ci si “libera” da un regime, uno dei primi cancelli a cadere è quello delle carceri. Dalla Bastiglia alle prigioni di Bagdad e Kabul non c’è quasi Liberazione che non abbia abbattuto il luogo principe del manifestarsi del giogo dell’oppressore. Dunque non scandalizzi né stupisca che proprio ieri, il 25 aprile, festa della Liberazione dal nazifascismo, i Radicali abbiano deciso di organizzare una marcia per chiedere l’amnistia contro le inumane condizioni carcerarie italiane. Un vero e proprio crimine di Stato, ripete Pannella da anni, in cui chi vive il carcere (non solo detenuti ma anche la polizia penitenziaria) si trova in condizioni inumane contrarie ad ogni standard di legge e umanità. Una condizione definita di “prepotente urgenza” dallo stesso Presidente Napolitano questa estate senza che poi nulla si sia davvero fatto per cambiare lo stato delle cose. Nel frattempo in questo 2012 i morti in carcere sono stati già 57 di cui 20 i suicidi, mentre i detenuti in attesa di giudizio superano la soglia del 40%. Non bastassero questi dati il sovraffollamento cresce nonostante i provvedimenti cosiddetti svuota carcere che in realtà non svuotano un bel niente e le continue condanne del nostro Paese in sede europea per le condizioni carcerarie e la lentezza dei processi. Nel frattempo le forze politiche non vogliono sentir parlare di Amnistia (precondizione per una vera riforma della giustizia) e a parole si dicono pronti ad una riforma della giustizia che in realtà o non vogliono fare o che torna comodo a pochi interessati, già forti dell’amnistia di classe che si chiama prescrizione. Quella prescrizione contro la quale si scaglia il partito delle manette che urla alla luna dei potenti liberati (senza incidere sul loro destino processuale) ma dimentica i tanti disgraziati in carcere solo per la loro misera condizione economica. Il governo tecnico, infine, si diceva all’avvio pronto a riformare la giustizia italiana, visti anche gli enormi costi economici che questa inefficienza comporta, per poi far sparire sotto il tappeto la questione.  Dunque ben venga la marcia per l’amnistia e la richiesta di un’altra vera Liberazione.

Come possono questi partiti battere l’antipolitica?

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 19 aprile 2012.

La battaglia dei partiti contro la cosiddetta antipolitica ricorda la battuta del pugile che chiede al secondo come sta andando il match. “Se l’ammazzi fai pari”, gli risponde quello.

Dunque: dal finanziamento pubblico, alla legge elettorale, passando per informazione e credibilità in generale la politica italiana per fare pari col discredito generalizzato che gode nel Paese deve fare un mezzo miracolo.

Certo non occorre generalizzare. Ci sono partiti che col finanziamento pubblico acquistavano lingotti e diamanti e altri che pagano la loro, corretta, vita democratica, così come c’è chi contro al finanziamento lotta da sempre, Radicali in testa e quasi sempre da soli.

Ciò non toglie che la politica stia messa alle corde tutta e che di fronte ad un governo che chiede (o meglio impone) sacrifici e nuove tasse su più o meno tutto, nessuno appaia credibile nel dire che il finanziamento non solo deve essere mantenuto ma non possa neanche diminuire.

Peraltro, come notava qualche giorno fa Massimo Bordin, sentire il genero di Caltagirone e il segretario del partito di Berlusconi dire che senza finanziamento ai partiti le lobby avrebbero dominato il parlamento farebbe sorridere se non dovessimo ogni giorno fare i conti con le aziende che chiudono e le tasse che aumentano.

Certo c’è chi, movimenti politici e gruppi editoriali, soffia sul fuoco del risentimento popolare ma come si fa a non notare che i primi a farsi del male da soli sono proprio i partiti stessi?

Scriveva Ian Mc Ewan che quando uno prova pena per sé stesso sente il bisogno di peggiorare le cose, come interpretare altrimenti il voto di ieri da parte di un parlamento costituito da nominati, incapace di dare un governo al paese, sulla riforma costituzionale del pareggio di bilancio in modo da aggirare il ricorso al referendum confermativo?

E come non notare il silenzio successivo di tutta quella stampa pronta a gridare alla limitazione della sovranità popolare, al regime (da sinistra) o alla sospensione della democrazia (a destra).

Solo il silenzio, sul merito e soprattutto sul metodo di questa riforma.

Forse un silenzio colpevole per non dover riflettere sul fatto che l’unica cosa fatta dai partiti negli ultimi mesi che i cittadini hanno apprezzato è stato il loro mettersi da parte per far posto ai tecnici.  Eppure di partiti e di politica la nostra società ha disperato bisogno, perché la democrazia, occorre ricordare, è il peggiore di tutti i sistemi di governo ad eccezione di tutti gli altri.

Il migliore investimento.

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 5 aprile 2012.

Senza smettere per un secondo di essere garantisti (per di più conoscendo le precedenti inchieste di alcuni dei PM di questa vicenda) la storia dell’inchiesta relativa al tesoriere della Lega Nord, come quella precedente sul tesoriere della Margherita, riportano prepotentemente in auge il tema del finanziamento pubblico ai partiti politici.

Cancellato con un referendum radicale del 1993 è tuttavia risorto immediatamente sotto il falso appellativo di rimborso elettorale. Perché falso? Perché l’importo rimborsato è del tutto incongruente con le cifre realmente spese (o meglio dichiarate in sede di rendiconto) dalle formazioni politiche durante le campagne elettorali. Naturalmente in eccesso. Calcolano i radicali che, dal 1994, a fronte di circa 2 miliardi di Euro versati ai partiti siano stati rendicontati come spese elettorali poco meno di 700 milioni. Difficile pensare che con una redditività tale e una legislazione in materia, diciamo lasca, possano non essere avvenute qualunque tipo di operazioni, senza nemmeno dover ipotizzare illeciti penali o amministrativi. Da operazioni immobiliari al famoso fondo d’Investimento tanzanese in cui investiva proprio la Lega Nord.

Un sistema che, anche quando (unico e lodevole caso) come il PD si facciano certificare i bilanci da revisori esterni, lascia perplessi per le modalità del rimborso forfettario e soprattutto per l’entità di tali rimborsi. Personalmente non sono contrario di principio ad un finanziamento pubblico dei partiti a patto che sia commisurato alla reale rispondenza della forza elettorale dello stesso, sia modesto e inserito in un sistema di trasparenza totale di bilancio e di rispondenza di criteri di democrazia interna che consentano agli iscritti un reale controllo della struttura (amministrativa e politica) del partito. Insomma se ti vuoi fare il partito personale, in cui la segreteria è un affare fra te, i tuoi familiari e i tuoi famigli, i soldi li spendi per fatti tuoi; fai pure ma nemmeno un Euro dallo Stato.

Naturalmente, anche in questo caso, non mancano i procastinatori e gli agitatori. I primi, come Casini, alle prime avvisaglie del caso Lusi avevano promesso un intervento parlamentare in materia che, naturalmente, ancora non c’è stato; i secondi, alla Di Pietro, hanno promesso un referendum ed una raccolta immediata di firme che, come prevede la legge, significherebbe raccogliere (di qui ad ottobre) firme buone per il macero.

Ad ottobre quando le firme saranno invece buone, i soliti radicali promettono una mobilitazione referendaria proprio sul tema che però, siccome costa denari e fatica, permette sin da oggi da chi volesse impegnarsi in questa battaglia, di lasciare la propria disponibilità sul sito www.radicali.it