Qualche idea sul piano casa

Qui di seguito l’intervista apparsa oggi sul corriere fiorentino a firma di Marzio Fatucchi sul tema del Piano Casa proposto dal governo.

«Sul Piano casa proposta dal governo non si può dire subito no».

Michele Morrocchi, consigliere comunale del Pd. Il piano casa proposto dal governo, non è quindi tutto da buttare?

«Intendiamoci: il rischio che la proposta presentata dall’esecutivo sia più un condono mascherato che una reale azione anticrisi, c’è. Ma ciò non toglie che il tema sia da prendere in considerazione. Dipende dal modo».

E quale sarebbe?

«La Regione, a cui la Costituzione dà titolarità in materia, e i Comuni possono affrontare questo tema per governare lo sviluppo urbanistico: prima di tutto salvaguardando il principio che ogni crescita si faccia prioritariamente senza consumo di nuovo suolo, preservando quindi i terreni agricoli e le aree verdi dentro e fuori le nostre città».

Comunque, è  un aumento di edificabilità: un rischio, hanno denunciato le associazioni ambientaliste, anche la Regione Toscana ha più di un dubbio.

«Dubbi corretti: ma l’idea  di rendere possibili ampliamenti delle abitazioni in una misura che non sia necessariamente il 20% previsto dall’esecutivo è un principio che, con opportuni vincoli, può andare bene. La legislazione regionale toscana già oggi contiene possibilità simili. Si tratta di creare le condizioni perché questo non significhi abuso:  serve far valere sempre i vincoli paesaggistici e delle belle arti, in secondo luogo si deve porre un limite alle dimensioni massime dell’intervento. Così,  i proprietari di case normali  investirebbero per rendere il proprio appartamento migliore, più bello e più vivibile, mentre si impedirebbero ampliamenti a ville e manieri in modo smisurato».

Ma  non è aiuto solo a chi ha già proprietà e alle grandi imprese?

«No, tutt’altro: in un periodo di crisi e di caduta del mercato immobiliare che impoverisce i cittadini sul loro principale bene rifugio, si orienterà l’investimento delle famiglie sulle proprie case e contemporaneamente si rimetterà in moto una parte di economia, quella legata alle costruzioni, alle ristrutturazioni, all’artigianato e ai professionisti che operano nel settore: in gran parte, piccole e medie imprese e non certo  grandi costruttori».

M.F.

AAA capo ufficio stampa cercasi

Il fatto che la Chiesa cattolica decida di riabilitare alcuni prelati lefrebrveviani è sostanzialmente un fatto che riguarda la Chiesa Cattolica e più in generale il rapporto tra questo pontificato e la contemporaneità.

Ma il fatto che decida di riabilitare uno fra questi che è dichiaratamente un negazionista proprio nella settimana del giorno della memoria dimostra almeno che dalle parti del Vaticano hanno un pessimo ufficio stampa.

Tutto l’amore di Mina

Ci sono storie e persone che aldilà di come la si pensi fanno riflettere. La storia di Piergiorgio Welby, la sua vita e la sua morte, sono qualcosa che ci fanno interrogare sui limiti dell’azione politica, della volontà personale, dell’etica e della nostra condizione precaria su questa terra.

Non voglio entrare sulle posizioni sull’eutanasia, il testamento biologico e tutta quella zona grigia sui temi dell’inizio e della fine della vita. Ho posizioni chiare su questoma qui mi piace riportare l’intervista di Mina Welby uscita lunedì sul Messaggero. E’ un atto d’amore che credo meriti rispetto e ci faccia riflettere aldilà delle nostre singole convinzioni. E’ da lunedì che la leggo e la rileggo. E’ una bellissima storia d’amore purtroppo senza un lieto fine.

da Il Messaggero, di Carla Massi –  «Sapevo quali sarebbero stati il giorno e l`ora della sua morte. Me l`avevano detto i medici. Fino all`ultimo, in cuor mio, ho sperato che Piergiorgio ci ripensasse. Per me era difficile lasciarlo andare, non riuscivo a pensare la mia vita senza la sua compagnia. Ma lui aveva scelto e io, per amore, non potevo che accettare le sue volontà». Mina Welby ha amato suo marito Piergiorgio per quasi trent`anni. Dal 1978 al 2006 quando lui, malato di distrofia muscolare, ha deciso di farsi “staccare la spina” e lasciarsi morire.

Dunque lei, signora, non era d`accordo con la scelta di suo marito?

«Avrei preferito andare avanti così come stava anche se mi rendevo conto che lui non ce la faceva più. Ma l`amore per lui mi ha fatto sempre accettare il suo pensiero».

Ha provato a convincerlo a desistere?

«Ho fatto tutto con lui, ho inventato tutto per continuare ad andare avanti superando gli ostacoli che ogni giorno la malattia progressiva ci proponeva. Durante l`ultima settimana gli ho detto: “Non so più che cosa inventarmi!”. E lui:  “Non c`è più nulla da inventare, hai già fatto tutto”. E lì ho capito che non voleva tornare indietro sulle sue decisioni».

A quel punto come ha fatto ad accettare, a vivere con il dolore e a stare accanto a lui fino alla fine?

«Per amore, solo per amore. Alcuni giorni prima della morte programmata mi passò per la mente di chiamare i carabinieri. Di parlare, di fermare tutto. Poi, in un momento, mi resi conto che gli avrei fatto un oltraggio. Che era puro egoismo. Mi dissi: “Che scema che sei!Fermati”».

Glielo ha fatto capire?

«No, assolutamente no. Non ho voluto mai ostacolarlo. In nome della nostra complicità e della nostra storia. Ho rispettato la dolcezza e l`attenzione che lui ha sempre, avuto per me».

A che cosa si riferisce?

«Finché ha potuto ha minimizzato la sua malattia ai miei occhi. Mi ha confusa, mi ha sempre nascosto quanto stesse male. Fino alla fine, quando non riusciva più a scrivere e a concentrarsi. Fino alla fine con estrema dignità, voleva che gli si facesse la barba, voleva scegliere i vestiti. Non riceveva mai le persone a letto, ma solo in carrozzina».

Quando le ha confessato la sua decisione?

«L`ho capito da tante piccole cose. Dal Belgio vennero a visitarlo alcuni medici, mi resi conto che in quel momento, con lui, potevano decidere qualcosa…».

Le parlava della morte?

«Negli anni prima non ne parlava mai, Piergiorgio era un inno alla vita. Ad un certo momento ha sperato, sono convinta, che io capissi».

E lei non ha voluto capire?

«Io fatto finta per un po`. Poi ho accettato in nome del nostro grande amore. Sempre, in tutti questi anni. Un giorno mi disse: “Non ti rendi conto come sto? Rischiamo di non capirci più…”».

E lei a quel punto è riuscita a sedare il dolore, a mandare via la rabbia e a mettersi da parte per lasciare spazio alle volontà di Piergiorgio?

«Ci sono riuscita senza rabbia e senza rammarico. Per lui è stato un sollievo, per me è statala fine del lutto».

Il lutto era finito? In realtà, iniziava il distacco.

«Per me il lutto è finito quando Piergiorgio ha finito di soffrire. Poi è iniziato un doloroso  distacco che ho riempito andando a rileggere e studiare tutto quello che Piergiorgio ha scritto sull`eutanasia e il testamento biologico. Per questo lotto perché questo paese abbia una legge proprio sul testamento biologico. Ora capisco quale era il suo pensiero da molti anni».

Ma non glielo aveva confidato.

«No, finché ha potuto no. Per non darmi un dolore».

Pensava che lei lo avrebbe voluto far desistere?

«Non lo so. Certo è che abbiamo sempre fatto tutto insieme, per gli ultimi quadri che ha dipinto ero io che spostavo la tela sotto il pennello. Tanto che uno l`ha firmato con il mio nome. Sapeva che, qualsiasi cosa lui avrebbe deciso su di sé, io lo avrei accettato. Fidava nella nostra eterna complicità».

Ciao Vittorio

In fondo, mi dico, uno se lo poteva anche aspettare. Vittorio Foa aveva 98 anni, era ormai da tempo infermo e quasi cieco e non si muoveva dalla sua casa di Formia. Uno quindi se lo poteva aspettare ma mi dispiace lo stesso. Avevo conosciuto personalmente Foa molti anni fa. Lo avevo trovato straordinariamente più moderno di me. E in questi anni leggendo quanto via via produceva lo trovavo sempre più moderno di tanti commentatori e pseudo-intellettuali giovani e giovanilisti.

Era un socialista anomalo, veniva da mondi e culture che come studente di storia e poi nella mia piccola attività politica  mi hanno sempre affascinato e attratto. Penso che, come tutti, non tutte le avesse imbroccate. Soprattutto quando dalla teoria si tentava di passare alla pratica.

Mancherà a molti, molto più importanti di me, ma mancherà anche a me.

Festa democratica

Mi dicono il 28 c’è Bersani alla festa nazionale del PD che fa un dibattito con Tremonti alle 18, alle 21 faresti una cosa con lui e Riccardo Conti sulle città e l’innovazione?

E io dico, naturalmente: si!

Per cui comincio a prepararmi, metto in calendario di trovare tra lunedì e giovedì il tempo per rileggere qualcosa, approfondire dei temi, ecc…

Poi ieri mi telefonano e mi dicono: “Ehi non più giovedì, ma domani, domenica.”

Per cui stasera sono alla festa del PD allo spazio dei quartieri 1 e 5 a fare un’iniziativa sulle città e l’innovazione con Pierluigi Bersani, Riccardo Conti, Giuliano Gasparotti e il sottoscritto. Se passate sono lì anche se non so assolutamente che dire!

Non facciamo più finta che questo sia un paese normale?

Leggo l’edizione online di Le Monde che oggi dedica ampio spazio alla visita di Sarkozy a Roma e all’incontro col Cavaliere. C’è un bell’articolo di Jean-Jacques Bozonnet et Arnaud Leparmentier che fa un parallelo tra i due leader della nuova destra europea.

A parte il contenuto dello stesso, mi ha colpito molto la descrizione che i due giornalisti fanno del “principale esponente dello schieramento che ci ha fatto il mazzo“. Definiscono la lega un partito xenofobo, mostrano le interferenze sui media, ricordano i processi in corso e quelli risolti dalla legislazione ad hoc….

Non è però un articolo contro Berlusconi. E’ un analisi in parallelo tra i due leader, il giudizio (che immaginiamo non positivo) è però sotteso, lasciato al lettore. Si fa un analisi, si mettono in campo dei dati e naturalmente si fa intravedere un opinione.

E allora ho pensato al clima che invece il PD sta impostando nei confronti di Berlusconi e del centrodestra, alle parole del Papa che si dice felice di questo nuovo clima, agli editoriali che plaudono al clima e al plauso del papa.

Sarà che a Parigi la tv italiana non la vedono, nemmeno leggono i nostri giornali evidentemente; però, senza fare i Travaglio che gongolano al tintinnare di manette, potremmo ricominciare a dire, serenamente e pacatamente come fa Le Monde, queste poche cose certe?

E quando qualche esponente dello schieramento a noi avverso ci dirà che il conflitto d’interesse lo hanno risolto gli elettori lo possiamo mandare a quel paese?

Forse dirsi la verità, non tacere delle mancanze nostre e degli altri è il modo vero per creare quel senso dello stato che fa sì che in Parlamento non ci si prenda a mortadelle in faccia, non si offenda l’avversario, si votino le cose di buon senso o d’interesse nazionale insieme.

C’è una bella differenza tra costruire (insieme) un paese normale o far finta che questo paese sia diventato normale.