Insieme per il PD, per Pistelli e per Firenze

Abbiamo affrontato un congresso non facile come Democratici di Sinistra. Alcuni di noi decisero di difendere coerentemente quell’identità e proprio qui a Firenze si consumò una scissione. Noi, insieme alla maggioranza del Partito, scegliemmo invece di dar vita a una nuova forza politica, il Partito Democratico, che partisse dalle migliori tradizioni del riformismo italiano ma riuscisse a superarle e dar vita a un soggetto maggioritario e che guardasse al futuro. In sintesi il primo partito italiano del XXI secolo non l’ultimo del XX.

Da quel congresso il PD ha timidamente iniziato a camminare. Ha subito una sconfitta elettorale che lo ha colpito duramente e che ne ha rallentato la spinta.

Tuttavia quel partito ha trovato il favore di un terzo degli elettori italiani e qui a Firenze di quasi un fiorentino su due. Numeri inimmaginabili per tutti noi, numeri che nemmeno i grandi partiti chiesa, DC e PCI, avevano avuto in città.

Ancor di più, il PD ha rappresentato per tanti un’idea vincente, un progetto giusto, una speranza per il futuro. Un’idea che si accompagna a un metodo, quello dell’apertura, del confronto, della partecipazione. Dunque anche nelle primarie.

In questo senso abbiamo sempre inteso la competizione che il prossimo 15 febbraio indicherà il candidato sindaco del centrosinistra fiorentino. Dunque il rafforzamento del PD, il suo radicamento territoriale e la sua costruzione identitaria sono una parte della posta in gioco. Ma non l’unica e probabilmente nemmeno la principale.

Peraltro crediamo che la forza della nostra tradizione stia proprio nella capacità di non stare all’interno di un unico recinto, di un’unica candidatura.

Quello che dobbiamo scegliere è il candidato che riteniamo migliore come sindaco di Firenze. Non come segretario metropolitano del PD. Dunque chi saprà interpretare al meglio il programma del PD, saprà arricchirlo di altre idee e dare il senso del futuro della città.

Come è noto abbiamo da tempo ritenuto che la persona in grado di rappresentare al meglio questa figura sia Lapo Pistelli. Oggi non solo confermiamo questa scelta ma la riteniamo quella in grado di preservare e far sviluppare la tradizione da cui proveniamo cioè quella dei Democratici di Sinistra.

Diciamo quindi con forza che il progetto del PD, del superamento delle nostre culture, è ancora IL progetto da perseguire e che nel sostegno alla candidatura di Pistelli si trova la migliore rappresentazione di tante storie, personali e collettive, che sono la forza del PD. Cattolici democratici, ex comunisti, socialisti, laici e tanti che non hanno un’appartenenza partitica nei vecchi schemi e recinti.

Noi abbiamo scommesso sul PD e sul futuro di Firenze. Non abbiamo cambiato idea.

Michele Morrocchi, Alberto Formigli, Maurizio Folli, Massimo Gramigni, Fabrizio Ronchi, Giuliano Gasparotti, Enrico Conti, Attila Tanzi, Chiara Rapallini, Leonardo Brunetti, Jacopo Ghelli, Massimo Morrocchi, Titta Meucci, Lucia Matteuzzi, Sonia Innocenti, Andrea Bruschi, Luciano Pecci, Luciano Ridolfi, Cristina Giani, Gianni Biagi, Beppe Barbugli, Mauro Dondoli, Sara Lai, Cristina Bevilacqua, Marco Colangelo,Roberto Bertoli, Ferdinando Porciani, Serena Beccaluva, Maurizio Barabesi,

PER ADERIRE mi.morrocchi@gmail.com OPPURE COMMENTANDO QUESTO POST

Il compagno Morrocchi si interroga…

Mi interrogo da un paio di giorni su questa possibile candidatura di Michele Ventura a quinto candidato alle primarie del centrosinistra fiorentino.

Conosco Michele da una vita (la mia), ne ho sempre apprezzato la lucidità e la capacità politica. L’arguzia e la capacità di ragionamento e di semplificazione di temi anche complessi.

Ammetto che ultimamente le nostre scelte sono state divergenti proprio in rapporto alle primarie e che dunque una frequentazione, una volta assidua, si è interrotta.

E dunque mi rimangono una serie di domande che non avranno probabilmente risposta ma che giro a tutti.

Se c’è bisogno di semplificare il quadro e di portare a sintesi il quadro del PD fiorentino e il numero dei candidati ha senso, una volta che Daniela Lastri ha annunciato ovviamente di continuare la sua corsa, aumentarne il numero?

Se anche Daniela si fosse ritirata saremmo davvero stati di fronte ad una semplificazione? (in numero no visto che quattro sarebbero comunque rimasti)

Se non di una semplificazione per numero almeno una semplificazione per provenienze sarebbe stata utile? Io penso di no. Penso che l’idea di un richiamo ad una identità diessina sia sbagliato, fuori tempo massimo e che cada sostanzialmente nel vuoto.

Sbagliato perchè contrario all’idea del PD, alla mozione che insieme a Michele ho sostenuto all’ultimo congresso dei DS; fuori tempo perchè la legittima difesa dell’esperienza dei DS si è consumata appunto nell’ultimo congresso e ha portato anche ad una scissione; cade nel vuoto perchè non vedo nel pd fiorentino e nei suoi dirigenti, anche nella maggioranza di quelli provenienti dai ds, una così forte voglia di tornare indietro e di ribadire un’identità che abbiamo coscientemente e convintamente chiuso per costruirne una nuova.

Infine l’ultima domanda ma per me la decisiva. Stiamo scelgiendo il sindaco o il segretario metropolitano del PD? Perchè se scegliamo il segretario del PD, Michele Ventura, e le motivazioni che lo spingono sono anche le mie. Rafforzare il partito, portarlo a sintesi e unità, ridargli azione politica sono bisogni che tutti gli iscritti penso avvertano a Firenze come nel resto d’Italia. Il punto però è che qui si tratta di scegliere il sindaco, cioè qualcuno che è in grado di interpretare un idea di città e un programma di governo. Di unire una città e non solo un partito.

E alla fine si alzò il sipario…

Ieri Matteo Renzi ha iniziato la propria campagna per le primarie. Lo fa con un taglio molto poco di partito e con un orientamento molto orientato all’elettorato extra-pd. Cosa peraltro che lui rivendica con sincerità.

Si può discutere se siano le primarie piuttosto che le elezioni amministrative il luogo in cui conquistare i voti alla destra.

Ogni manuale di scienza politica dice chiaramente di no. Che alle primarie devono votare gli elettori dello schieramento e che l’allargamento degli elettori agli altri schieramenti viene considerato macchinazione.

Ma i manuali sono molto diversi dalla realtà. Dunque pur pensandola come i manuali ritengo l’argomento degno di discussione.

Tuttavia la cosa diventa un po’ più grave, almeno dal mio punto di vista, quando oltre che tentare di “rubare” elettori alla destra si rubano gli slogan e i riferimenti culturali.

A me Prima Firenze sa un po’ troppo Country first di Mc Cain e soprattutto penso che il monologo di Al Pacino in Ogni maledetta domenica (Any given Sunday), faccia un po’ troppo motivatore di publitalia ’80.

Ora non chiedo la proiezione della corazzata Potemkin o Ivan il terribile o la Congiura dei Boiardi in versione originale coi sottotitoli in nord coreano ma insomma si possono trovare riferimenti un po’ più di centro sinistra oltre a qualche citazione di Gramsci fuori contesto?

Se vogliam fare gli americani.

Un mio vecchio amico usava spesso l’espressione “fare i tedeschi con la mentalità dei sudamericani”.

Mi è tornata in mente pensando alle primarie per il Sindaco di Firenze che come Pd ci apprestiamo a fare. Spero di sbagliarmi ma vedo una voglia matta di ripetere nella forma quello che avviene aldilà dell’oceano senza però introiettarne i contenuti, il rispetto e le modalità (se volete i riti) politici di quel modello.

Vedo slogan copiati (al candidato sbagliato però), convention, staff elettorali, gadget, immagino che arriveremo anche ai cartoncini coi nomi e qualche emittente televisiva organizzerà senz’altro un bel faccia a faccia.

Sia chiaro a me tutto questo piace. Tentavo, quando facevo quel mestiere, di organizzare campagne all’americana già nel 2001, figurarsi se non ci sguazzo in tutto questo.

Penso però che servirebbe anche imparare le regole del confronto, il senso delle riunioni che precedono gli interventi alle convention dei partiti, tutta l’arte della politica che permette ai candidati di lavorare per colui che vince, stringendo accordi assegnando incarichi (sì la politica è anche questo).

In sintesi ridando centralità alla politica aldilà dei metodi. E’ forse l’ora di credere nelle scelte che abbiamo compiuto. Non è più il tempo di gattopardismi in cui si cambia il metodo per mantenere la sostanza dei nostri rituali. Abbiamo scelto un metodo competitivo, dobbiamo attrezzarci a questo; regolare e riportare la competizione nell’alveo del confronto civile e serio. Servono contenuti oltre alle regole, non servono a mio avviso i proclami all’unità, vuote richieste di riduzione dei candidati.

Serve governare la complessità, trarne vantaggio e non averne paura. Servono dei dirigenti che sappiano far questo e che abbiano l’umiltà e la sapienza di non cercare la ribalta.

Ho scritto primarie sulla sabbia

Si sa la pubblicità è l’anima del commercio e che sia agosto oppure settembre la foliazione dei nostri quotidiani la decidono gli inserzionisti piuttosto che i direttori e le notizie che realmente sono apparse.

Ecco dunque il moltiplicarsi di inchieste sul coctail dell’estate, l’abbronzatura migliore, i ristoranti meno esosi e via celiando…

Se le cronache nazionali sono state in qualche modo aiutate da olimpiadi e questione georgiana non altrettanto è accaduto ai quotidiani locali e ai supplementi locali dei grandi quotidiani.E siccome tocca lavorare qualcosa bisogna pur scrivere, anche di politica naturalmente soprattutto se la penna più appuntita della città le ferie le ha prese a luglio.

Ecco quindi che il politico rimasto in città (o magari in montagna ma col telefonino acceso) pronto a dichiarare su qualsivoglia argomento si ritrova ad essere non uno degli esponti cittadini ma il vate!

E quindi viene intervistato su tutto. Vacanze, amorazzi estivi, regolamenti comunali, primarie (singole o di coalizione), collocazioni nel proprio partito, questione georgiana. Lo immagiamo impegnato a conversare col giornalista puntuto a metà del giorno dal buon retiro montano, come Berlusconi tornato dalla serra dei cactus in Sardegna che chiama Putin e discutono della Georgia. Più o meno anche con gli stessi risultati.

Oppure indaffarato a rispondere al segretario nazionale di un partito alleato galvanizzato addirittura dal richiamo nazionale che la notizia potrebbe avere. Poi poco importa se quel livello di discussione non attenga al suo ruolo ma un parere, perdincibacco, non si nega a nessuno!

Poi tanto torna settembre e i telefonini li riaccendo anche gli altri e il vate torna a fare il suo. Che, tra l’altro, nemmeno gli riuscirebbe male. E tutti i proclami, democrazia, tutela degli iscritti, minacce di dimissioni, richiamo alla base o al popolo delle primarie si perdono come scritte sulla sabbia che il mare porta via…

Assemblea di una sera di mezza estate

Ieri sera sono intervenuto all’assemblea cittadina del PD di Firenze. Il fato e l’arbitrio del segretario cittadino hanno voluto che parlassi dopo gli interventi del presidente della Provincia Renzi e, soprattuto, quello di Daniela Lastri che ha ufficializzato la propria candidatura alle primarie (tra l’altro complimenti a Daniela per il coraggio, merce rara di questi tempi!). Insomma un momentaccio, l’attenzione era poca ma ho provato a svolgere qualche ragionamento che riporto qui sotto.

Nell’approcciarci al lavoro sul programma così come definito dal documento approvato da questa assemblea il gruppo che ho avuto il compito di coordinare ha cercato di definire quelle linee programmatiche comuni in vista delle primarie.

Siamo partiti dall’analisi della nostra città, dal bilancio del lavoro svolto, dalle analisi che l’IRPET ha fatto sulla nostra area, convinti che una analisi corretta sia indispensabile se si vuole fare un buon lavoro.

Un’analisi che mostra un quadro non completamente positivo, dove gli elementi che rendono Firenze più competitiva sono in larga parti dovuti alle maggiori difficoltà degli altri piuttosto che alle nostre migliori performance. Elementi positivi che si legano spesso a quelli che troppo semplicisticamente accostiamo alla parola rendita, dimenticando che questa genera valore aggiunto ricchezza e rappresentano, come dimostra lo studio appena pubblicato dalla provincia insieme alla London school of economics, i campi di interessi (gli unici) degli investitori esterni.

E’ dunque emerso il bisogno di declinare una parola: cambiamento. Dopo un ciclo amministrativo di quindici anni di cui tutti noi diamo un giudizio positivo non abbiamo la necessità di inserire elementi di rottura. Serve portare avanti le scelte fondamentali, in primis quelle infrastrutturali, ma adeguandole alle conseguenze, sociali, economiche, fisiche che le nostre scelte (e non solo) hanno generato.

Un cambiamento se mi permettete di mutuare l’espressione dallo slogan della campagna elettorale di Mitterand che vorrei definire tranquillo.

Accanto a questo dobbiamo affrontare il tema della gravità, intesa quasi in senso fisico. Come quella forza che ci mantiene attaccati al terreno, alla concretezza, alla fanga. Un senso di responsabilità perchè i tempi appaiono difficili, appaiono tempi in cui non possiamo accontentarci dei sogni, anche perchè i sogni durano una piccolissima parte della notte.

Dobbiamo quindi lavorare, insieme, alla costruzione di una identità diffusa, non a ricette salvifiche, in cui porre il tema del limite delle risorse, fisiche, sociali ed economiche in cui svolgere lo sviluppo.

Uno scenario nuovo in cui il problema delle dimensioni non può essere più ignorato. Quel tema intuito tanti anni fa da Gianfranco Bartolini che oggi, con la proposta della città metropolitana può avere uno sbocco istituzionale compiuto.

Dobbiamo essere conseguenti alle nostre scelte. Quando si avvicinano i mercati, le comunità, quando si rompono i limiti anche fisici, nel nostro caso gli appennini con la TAV, si creano effetti irreversibili che devono essere governati per dirla con il Marx che descriveva la fine delle antiche civiltà.

Si aprono prospettive incredibili ma anche rischi enormi se non ci faremo trovare pronti. Non ci potremo accontentare di ridurre di mezz’ora, fosse anche un’ora, il tempo per arrivare a Milano dovremo porci l’obiettivo di essere perno di un sistema che lega Livorno e il suo porto con l’Europa, la Toscana al nord e il sud del Paese, conquistando così il ruolo di capitale della Regione, non per rango e storia ma per funzione ed interesse.

Un perno capace di essere quel centro di gravità di una Italia di Mezzo (Toscana, Umbria e Marche) omogenee per economia, composizione socilale e persino consenso politico, che non riesce a materializzarsi e rendere questa area competitiva nel contesto europeo.

Come vedete un ambizione alta e però al contempo concreta, inserita prepotentemente nel dibattito europeo delle città regioni, quel dibattito su cui si orienteranno le politiche dell’Unione e i finanziamenti ad esse legate.

Infine permettetemi di concludere con due riflessioni personali, che non sono frutto del lavoro del gruppo che presiedo.

La prima è che credo serva una sprovincializzazione del nostro dibattito, soprattuto quello che facciamo sui giornali.

Abbiamo bisogno di una elaborazione alta. Porto l’esempio delle infrastrutture e della mobilità-

Forse dovremo riuscire ad uscire da una concezione idraulica, come scriveva qualche tempo fa Walter Tocci in un bel saggio, del traffico. Un idea che pensa che così come per le tubature, aumentando il numero dei tubi e la portata di questi ultimi si distribuisca meglio l’acqua. E invece abbiamo visto, ovunque, che all’aumentare dei tubi è aumentata subito anche la quantità d’acqua da trasportare.

Dunque non credo sia utile affrontare il tema di nuove infrastrutture per la mobilità su gomma cercando le compatibilità tecniche, ambientali o paesaggistiche. Quelle di solito con un buon progetto si trovano. Il problema sono le compatibilità politiche. Come si coniugano, guardate lo dico senza voler dare un giudizio ma per svolgere un ragionamento, nuove strade con la cosiddetta cura del ferro, con l’ambizione di spostare il traffico privato sui treni locali.

Come si coniugano nuove strade, l’aumento del traffico che queste sempre portano, con quanto affermiamo due righe sotto cioè la diminuzione dell’inquinamento, delle emissioni nocive?

Come stiamo in un dibattito mondiale in cui persino la California discute su come chiudere e demolire qualcuna delle sue highway?

Non può valere qui la politica del ma anche, serve la definizione di una scelta.

Dunque e vado a concludere serve una sprovincializzazione dei temi, del nostro dibattito. Anche perchè altrimenti il rischio è quello dell’incapacità del partito non di trovare una leadership, un candidato ma un gruppo dirigente.

Abbiamo scelto, come fondante per il nostro partito, un modello competitivo basato sulle primarie. Dobbiamo svolgerlo in modo che questo non rappresenti l’affermazione di un sindaco ma di un intero gruppo dirigente per il PD e per la città, capace di precedere chi vogliamo amministrare, di indicare una strada, sperando naturalmente che sia quella giusta.

Serve rispetto e determinazione, coraggio e understatement non promesse. Serve indicare un cammino comune, non nascondendo le difficoltà che incontreremo ma mostrandoci pronti a fare insieme ai nostri cittadini quel pezzo di strada per quanto dura sia.

L’incapacità di scegliere porta a soluzioni endogene. Il salvatore esterno non può essere la soluzione ma solo la riproposizione dei nostri antichi mali e un passo verso l’indebolimento e la sterilità.

Siamo invece di fronte a un potenziale gruppo dirigente in grado si superare le distanza e le rotture del passato, in grado di portare alla città idee nuove e richieste di impegno comune, di dimostrarsi capace di cambiare, tranquillamente, la nostra città.

il Reporter

Questo è il testo dell’intervista sull’aeroporto di Peretola che ha pubblicato il Reporter e che è arrivata in tutte le case dei fiorentini. L’intervista è di Paolo Ceccarelli che ringrazio per le domande e la correttezza con cui ha riportato le risposte.

Il problema non è la pista parallela o quella obliqua. Il problema, secondo il consigliere comunale del Pd Michele Morrocchi, “è cosa vogliamo far diventare l’Amerigo Vespucci: uno scalo da 8 milioni di passeggeri l’anno o un city-airport?”. Morrocchi non ha dubbi in merito: Firenze non può permettersi un mega-aeroporto.

Allora Peretola deve restare così com’è? “No. L’attuale aerostazione va rimessa a posto per farla diventare un vero cityairport. Si può discutere anche di un ri-orientamento della pista, ma con due paletti: non più lunga di 2 chilometri e pensata anche in funzione di attenuare i disagi che oggi vivono i cittadini di Quaracchi, Brozzi e Peretola”.

Ma lei è favorevole o contrario all’aumento dei voli? “Si può anche incrementare il numero ma, ripeto, certo non farlo diventare un aeroporto intercontinentale. Peretola può reggere al massimo 3 o 4 milioni di passeggeri l’anno, cioè il doppio di quelli attuali”.

La questione aeroporto sembra un po’ lo specchio su cui tanti vedono riflesso il futuro di Firenze. Con queste posizioni, non teme di passare per un “nemico” dello sviluppo della città, un conservatore? “Mah, ci sono diversi amici di diversi futuri della città… C’è chi vorrebbe che fossimo invasi da 8 milioni di turisti, ma basta andare in centro in questo periodo per rendersi conto che non lo potremmo sopportare. E poi non ci sto a misurare il grado di riformismo con il goniometro”.

Adf sostiene che con la pista parallela diminuirebbero i disagi per gli abitanti delle zone circostanti. Questo non è unbuon motivo per dire sì? “Non sono un ingegnere, quindi non entro nel merito. Credo però che Adf farebbe bene a presentare uno studio di fattibilità, perché altrimenti i discorsi restano tutti un po’ a mezz’aria. E, prima ancora di questo studio, Adf dovrebbe togliere dal tavolo delle ipotesi la proposta di una pista lunga 3,3 chilometri, pensata per voli intercontinentali. E’ un’idea che genera solo confusione”.

A Castello potrebbe nascere il nuovo stadio della Fiorentina. Secondo lei, l’impianto, l’aeroporto e gli altri progetti sull’area si possono integrare o bisogna scegliere?Bisogna vedere che tipo d’impianto sarà. Comunque bisognerà valutare bene e mi pare evidente che tutto tutto, in quella zona, non ci potrà stare”.

P.S. Oggi sul corriere fiorentino c’è una lettera firmata che mi accusa di non capire nulla sull’aeroporto (a differenza di Marco Mayer) perchè non parlo del Sukhoi 100 e delle magnifche potenzialità di questo velivolo. Il lettore però casca male, gli aerei sono sempre stati una mia passione. Il Sukhoi sarà un magnifico vettore ne sono certo e sono felice che finmeccanica sia entrata in quel progetto. Ma è un vettore nuovo ancora in fase di preproduzione, e soprattutto non sarà certo la politica fiorentina a decidere gli acquisti dei parchi aeromobili delle compagnie aeree. La tecninca è una gran cosa e potremmo tutti sperare che i convertiplani risolvano i problemi di Peretola. Però noi dovremmo trovare una soluzione ora e per il breve futuro in cui si continuerà a volare con gli attuali aerei sostituendoli con le nuove macchine progressivamente.

Piccoli passi

Come scrissi qui avevo presentato una risoluzione in consiglio comunale per sollecitare la Commissione Europea ad approvare al più presto una Direttiva orizzontale antidiscriminatoria.

Ieri l’aula del consiglio comunale l’ha votata. Il testo è passato all’unanimità, con i colleghi del centrodestra che non hanno partecipato al voto. Immagino più per la tarda ora e per il caldo e per una scarsa conoscenza dell’argomento che per una qualsivoglia contrarietà alla materia.

Lo so che è piccola cosa, ma è comunque qualcosa no?

Ask not

Ask not è il titolo di un gran bel saggio su John F. Kennedy e sul suo discorso d’inaugurazione il 20 gennaio 1961. E’ un saggio che ha il ritmo di un romanzo, scritto con quella prosa e quella capacità di creare immagini ed emozioni che hanno gli storici anglosassoni.

A partire da un discorso, quello che diventerà mitico proprio per quel “non chiedete cosa il vostro paese possa fare per voi…” Clarke ricostruisce la figura di Kennedy, i sogni e le speranze che la sua elezione portò.

Kennedy fu capace di interpretare la voglia di un Paese e soprattutto di una generazione, di assumere delle responsabilità e di rischiare. Mostrò agli americani, per dirla con Paolo Conte, che erano in “un mondo adulto, [in cui] si sbagliava da professionisti”.

Le pagine che descrivono la nevicata la notte prima del discorso sono stupende. Danno il senso della sospensione, dell’attesa. Come se quella neve fosse il confine tra il prima e il dopo, uno spazio quasi cinematografico in cui fermarsi a sperare che il giorno dopo iniziasse un nuovo mondo e non solo una nuova presidenza.

Quel giorno, […], molte persone, come ipnotizzate, guardarono dalla finestra la neve che si accumulava, mentre le conversazioni via via languivano e i cortili e i marciapiedi diventavano bianchi; le feste diventavano più allegre; mentre la neve smorzava i suoni della città e le stanze ben illuminate sembravano più piccole e più accoglienti mentre scendeva la sera e la neve si faceva più fitta”.

Doveva essere una bellissima sensazione. Mi piacerebbe davvero poterla provare. Mi piacerebbe che, nel piccolo potesse provarla la nostra città. Magari l’anno prossimo, quando una cerimonia d’insediamento (decisamente più modesta) accompagnerà un nuovo sindaco.

E’ rara la neve a giugno. Rara, ma non impossibile.


Via Montughi vista dal cielo

Sul Corriere di Firenze di oggi c’è un articolino curioso. Parla delle proteste degli abitanti di via Montughi.

Via Montughi è una piccola via (ma piccola davvero) tra via Vittorio Emanuele e via Bolognese. Per molti fiorentini quel sistema di stradine sopra careggi e la Bolognese rappresenta da sempre la circonvallazione nord della città. Chi qui è nato sa benissimo che si tratta di viottoli larghi più o meno quanto un utilitaria, talvolta a doppio senso che necessitano occhio, pazienza e capacità di fare lunghi tratti in retromarcia se si incontra qualcuno nei tanti punti in cui non è possibile scambiarsi.

Molti giovani neopatentati (anche chi scrive quando tanto tempo fa lo era) hanno reso felici generazioni di carrozieri sverniciando le fiancate delle proprie auto coi muretti a secco la cui abrasività è notoriamente altissima. I fortunati residenti hanno sempre assistito pazienti a questo “modesto” traffico. Almeno sino ad ora.

Da qualche tempo infatti quelle strade non sono più patrimonio per iniziati ma, grazie allo sviluppo e alla diffusione dei sistemi di navigazione satellitare, vengono sempre più “consigliate” come tragitto alternativo per chiunque. Anche per camionisti e proprietari di grosse auto che finiscono così letteralmente incastrati.

Non è un fenomeno solo fiorentino. In molte altre città aumentano i casi di incastri, incidenti e viabilità vicinali trasformati in succursali e deviazioni autostradali.

Il problema non riguarda solo queste strade alternative. I software di navigazione sono tutti completamente slegati dalla pianificazione della mobilità delle città. Sono dunque lasciati alla libera iniziativa delle ditte produttrici, che inseriscono punti di interesse, viabilità alternative, parcheggi di struttura, secondo criteri propri (diversi da prodotto a prodotto) e non quelli dell’amministrazione pubblica che dovrebbe governare la mobilità.

Insomma le società che producono gps stanno divendando anch’esse un soggetto della mobilità delle nostre città. Forse è il caso di rendersene conto e instaurare con loro qualche forma di relazione da parte delle amministrazioni comunali, dai semplici contatti a vere e proprie collaborazioni come già si fa con le categorie economiche o le società di trasporti.

Se ci si riuscisse forse non troveremmo più nessun camionista polacco incastrato in via Montughi che maledice una voce femminile che, dal gps, gli ordina di “tornare indietro quando potete”.