Mentre leggo, per meglio dire divoro, “La Russia di Putin”, il libro di Anna Politkovskaja del 2004 ristampato meritoriamente da Adelphi in questi giorni, iniziano ad arrivare le immagini dei massacri di Bucha in Ucraina ed è molto difficile non collegare quanto leggo da quanto vedo.
Anna Politkovskaja non potrà raccontarci però quello che accade in Ucraina, come invece aveva fatto per quanto avveniva in Cecenia, la guerra che promuoverà Putin ad autocrate di tutte le Russie, perché nel frattempo è stata uccisa, proprio il giorno del compleanno di Putin nel 2006. Un macabro regalo per il presidente.
In questo libro come del resto in tutto il lavoro di ricerca dell’autrice il soggetto è la Russia, il gigante uscito dal comunismo, ubriacatosi del capitalismo e approdato all’autocrazia più nera. In questo processo di passaggio “La Russia di Putin” rappresenta una guida per noi occidentali allora (forse – si spera – oggi non più) affascinati dall’uomo forte del Cremlino, per spiegarci che dietro le foto a torso nudo nei ghiacci si stava ricostruendo un regime di terrore totalitario simile allo stalinismo.
Un paese in cui centinaia di giovani coscritti venivano derubati, vessati, umiliati e financo uccisi da ufficiali corrotti, ubriachi, psicopatici. Non casi isolati ma un sistema che fa da contrappunto agli ufficiali della flotta dei sommergibili nucleari costretti a saltare i pasti.
Impossibile non leggere quelle pagine dedicate all’esercito e non pensare a quanto avviene a Kiev o Mariupol, non pensare che per metodo e insensatezza l’Ucraina non sia che la terza guerra Cecena. O forse la quarta o la quinta se si contano la Georgia e la Siria.
Eppure quel sistema opprimente, quanto la Politkovskaja scriveva il suo libro, riscuoteva così tanto successo qui da noi. Nel libro l’ex premier Berlusconi viene descritto come “innamorato” di Putin, quello che ne canta le lodi più sperticate. Lo stesso Berlusconi che a poche settimane dall’omicidio dell’autrice in una conferenza stampa congiunta proprio con Putin fece il segno di una pistola con le dita ad un giornalista che aveva fatto una domanda impertinente al presidente. Certo Berlusconi era il primo ma non l’unico. Una compagnia che vedeva Chirac e Schroeder non certo critici con quello che avveniva a Mosca, tanto che il secondo ci si troverà talmente bene da farsi assumere a Gazprom.
Un occidente che veniva messo in guardia ma preferiva guardare altrove: al gas, il petrolio, i minerali e l’enorme mercato russo. Un occidente che oggi si trova sguarnito e ricattato dal tiranno anche perché non ha ascoltato le grida degli ostaggi asfissiati – con un gas scelto personalmente dall’ex tenente colonnello del KGB Putin – nel teatro Duvbrovka o dei loro parenti, umiliati e zittiti dal proprio stesso Stato.
Neanche quando Anna Politkovskaja fu assassinata da queste parti ci si sentì in dovere di porsi delle domande, di partecipare al dolore dei suoi colleghi e compagni. Al suo funerale spiccava, perché unico politico occidentale, il solo Marco Pannella.
Anna Politkovskaja, La Russia di Putin, Adelphi, 2022. Traduzione di Claudia Zonghetti.
Articolo apparso su Cultura Commestibile n.442 del 9 aprile 2022.