La vittoria di Trump può essere considerata un fatto episodico? Oppure può essere considerata una tappa di un percorso politico che investe Nord America ed Europa? O forse siamo di fronte all’invasione di campo, politico nel caso, di un processo culturale che è diventata (o sta diventando) egemone? Su quest’ultima teoria si applica Angela Nagle nel suo volume Kill al Normies, uscito recentemente per Zero Book.
Il volume non è una riflessione sistematica sulla filosofia dell’alt-right americana ma fornisce un primo spunto di ricerca in merito a fenomeni comunicativi e politici che hanno caratterizzato l’ascesa e la fortificazione di una nuova destra, sovversiva nei modi e, ora che ha acquisito il potere politico, anche nei fatti.
La Nagle, statunitense ma che insegna a Dublino, parte dalla rottura dell’utopia di internet degli anni ’90, primi duemila, che faceva il paio con il politically correct imperante dei Clinton e poi di Obama. L’internet che facendosi social media pareva essere una congiunzione tra popoli e culture, dava vita e voce a movimenti utopici come Occupy, un po’ come la terza via blairiana pareva poter addomesticare il mercato globale.
Invece quello che è successo, secondo la Nagle, che l’iperattivismo “buonista” è riuscito ad irritare masse di utenti dei vari social media che, usando strumenti tipici delle controculture libera degli anni ’70, ha finito per ribaltare i rapporti di forza, diventare egemone e alla fine eleggere persino il Presidente degli Stati Uniti.
E’ proprio il capitolo sull’egemonia, Gramscians of the alt-right, quello a parere di chi scrive più interessante del volume, con l’individuazione di come uno “spirito malvagio” è ben presto passato dal bullismo online, l’istigazione al suicidio, le shitstorm nei confronti di attivisti e celebrità liberal, alla conquista del potere vero e proprio. Una nuova destra alternativa però alla destra classica (da cui l’acronimo alt-right) che pur prendendo da una parte di questa, viene citato nel libro il discorso del conservatore Buchannan, temi e argomenti ne sovverte il discorso pubblico, si fa irriverente, sarcastica e grottesca, Violenta nei modi espressivi, rapida nelle forme di comunicazione, antagonista del sistema. Usa quindi tecniche e strategie di comunicazione e lotta politica che arrivano diritte dalla controcultura degli anni ’60, dalla new-left.
Conservatori lisergici che non hanno remore a manifestare le proprie contraddizioni, attivisti dichiaratamente gay che difendono il ruolo subordinato della donna nella società per esempio o il suprematismo bianco, e a individuare nemici in ogni campo, compreso il proprio. Non lesinano infatti critiche alla destra classica, chiamando gli esponenti cuckconservative, in una crasi tra la figura sessuale del cuckold e il conservatore.
Il libro, una sorta di fermo immagine del fenomeno, è chiaramente dedicato ai soli Stati Uniti ma come non vedere un disegno comune, punti di incontro con gli analoghi fenomeni che avvengono nel nostro continente e nel nostro Paese. Certo una differenza salta agli occhi, mentre negli Usa il fenomeno pare partire da basso e trovare lungo la strada dei newcomers che ne approfittano per una fulminea ascesa sociale e politica, nel vecchio continente accanto a questo fenomeno si assiste ad uno sfruttamento da parte di un pezzo della destra più radicale della temperie in atto. Di sicuro accomunano le due sponde dell’oceano l’incapacità dei gruppi dirigenti classici, sia di destra che di sinistra di arginare e combattere il fenomeno.
Certo il libro non si pone l’obiettivo di trovare una “cura” a questa deriva ma l’autrice nelle pagine finali prova comunque a suggerire una strada: “instead of pathetically tryng to speak the language of this new right by tryng to ‘troll the trolls’ or to mimic its online culture, we should take the opportunity to reject something much deeper that it is reaveling to us”. Non sarà probabilmente l’unica proposta risolutrice ma potrebbe essere un buon inizio.
Articolo apparso su Cultura Commestibile n.276 del 15 settembre 2018