Dal Nuovo Corriere del 8 settembre 2011.
Oggi, come nel 1943, l’Italia è il ventre molle dell’Europa. Allora lo era come favorevole secondo fronte, fortemente sostenuto dai britannici, da offrire all’assediato Stalin, oggi lo è in un attacco all’Euro e alla politica economica europea. Allora inglesi e americani si trovarono a Casablanca e decisero l’invasione della Sicilia che ebbe anche come corollario non proprio felice, l’attivazione della rete della mafia italo-americana di New York per costituire teste di ponte favorevoli agli alleati nell’isola.
Oggi nessun vertice ha programmato l’invasione ma nessuno dubita che il nostro paese sia sotto attacco finanziario ed oggi come allora nessuno nutre grosse speranze che le nostre truppe possano resistere. Non certo dopo 4 manovre (ma il conto è probabilmente errato per difetto) in meno di un mese e una classe di governo incapace di articolare una frase di senso compiuto figurarsi delle misure economiche e finanziarie. Tanto che temo che il testo finale della manovra assomiglierà a quelle composizioni futuriste fatte di Zang,bam, bum, zang. Questa volta poi non c’è neanche l’”alleato” germanico che pare invece usare (con scarso successo) la retorica anti-italiana per propri fini elettorali interni.
E soprattutto manca la perfida Albione. Chi scrive si è convinto che tanti dei problemi che attraversa l’Europa oggi derivino anche dalla ancora più accentuata politica euroscettica britannica. Una politica tradizionale, attenuatasi nei primi anni del blairismo e poi ripresa dagli stessi laburisti alla fine del loro ciclo e teorizzata e ampiamente praticata dal governo conservatore-liberale di David Cameron. Non abbiamo controprova ma l’assenza britannica a controbilanciare l’asso franco-tedesco si è sentita e si sente molto. Parigi e Berlino hanno svolto una funzione propositiva e di salvaguardia quando erano governati da forze politiche, uscite dalla seconda guerra mondiale, che portavano nel proprio ricordo personale cosa avessero prodotto gli interessi nazionali. Non che questo avesse impedito una CEE prima e una UE dopo dove i governi la facessero da padroni, ma nel quadro di elementi valoriali forti e condivisi. In quel contesto la Gran Bretagna, seppur sempre fortemente euroscettica, ebbe comunque un ruolo, prima di dama da corteggiare per entrare nella comunità, poi di ponte e “garanzia” coi cugini atlantici, che seppur fossero “due popoli divisi dalla stessa lingua” come diceva Oscar Wilde, erano soliti prestare attenzione e fede a quanto Londra diceva o faceva.
Per questo spero con forza che almeno il Next LAbour di Ed Milliband riaccenda, fosse anche timidamente, un ragionamento sull’Europa nel suo appuntamento di Liverpool, ne avremmo da guadagnare, come già nel 1943, per primi noi italiani.