Dal Nuovo Corriere di Firenze del 15 dicembre 2010
Come non molti prevedevano Berlusconi ha intascato una risicatissima fiducia in entrambe le camere. Forte dell’ennesimo cambio di casacche parlamentare, come già quello che gli consentì nel 1994 di ottenere la maggioranza al Senato, Berlusconi incassa e prosegue. Pochi riescono immaginare per quanto e con quali risultati, visto che partendo da un distacco di quasi 100 deputati è riuscito a fare così poco anche prima degli strappi di Fini.
Chi esce ridimensionato, per non dire distrutto, è Fini che dimostra ancora una volta di essere un personaggio comunque di contorno nel panorama politico italiano, incapace di giocare autonomamente una partita e fiaccato dalla troppa tattica e dai pochi e non chiari orizzonti lunghi.
Chi invece salva la faccia, oltre al serafico Casini, e alla fine forse non porta a casa una sconfitta è il PD di Bersani. Un PD fortunato per il calendario, con la manifestazione dell’11 dicembre caduta a fagiolo tra la compravendita dei deputati dipietristi e il voto “affondafini”.
Bersani è stato capace di smarcarsi infatti dall’alleato Di Pietro, lasciandolo solo di fronte all’ennesimo passaggio di parte di suoi parlamentari e svuotando così, senza alcuno sforzo, la retorica dell’”unica opposizione a Berlusconi”, risultando il partito dell’ex PM anzi decisivo per la vittoria del governo. Di più si è smarcato, anche qui senza clamore, da Fini il cui abbraccio avrebbe potuto essere mortale per il segretario emiliano. Lo ha fatto con una manifestazione di partito (a vocazione maggioritaria si potrebbe definirla), senza appelli ad essere in piazza agli alleati presenti, passati e futuri e giocando la sua carta migliore; quella retorica pragmatica, fatta di gente comune, di cenni alla vita reale e anche sul fatto di conoscere per davvero quanto costa un litro di latte, dimostrando di essere qualcosa di più e di meglio della sola alchimia di palazzo.
Nessun cedimento nemmeno a Vendola, al quale il PD ha dimostrato di essere capace comunque di una mobilitazione e di una possibile “narrazione” autonoma dalla tattica delle alleanze.
Un Bersani molto poco dalemiano se vogliamo, che si è posto (e il voto di fiducia paradossalmente rafforza) come capo unico e possibile dell’opposizione intanto parlamentare.
Un credito che dovrà esser bravo a salvaguardare, difendendolo dall’iper tatticismo di chi lo consiglierà di giocare la solita partita dell’alleanza con Casini, sia da chi da dentro e da fuori il partito lo bombarderà con critiche continue, seppur magari un po’ più deboli dopo recenti scivolate all’ora della merenda.
Per farcela il segretario dovrà semplicemente continuare come ha fatto in questi giorni, mettendo in campo la sua solita concretezza e rispondendo alle tattiche con quella semplice (ma efficace) domanda: “ma lei lo sa quanto costa un litro di latte?” .