Non ci sono più gli attentati di una volta (e non è necessariamente un male).

bresci

Fossimo ancora nella prima Repubblica, tre quarti dei commenti di questi giorni verrebbero bollati, dalla classe politica, dai giornali, dai media, come irresponsabili.

Di qualunque colore politico fossero gli osservatori tutti troverebbero queste affermazioni indegne di una classe dirigente, fosse pure di una che aspira ad esserlo.

E lo direbbero anche adepti di idee (e ideologie) teoricamente violente, capaci di sovvertire l’ordine costituito o di minacciarlo seriamente. Eppure nessuno di essi, proprio forse perchè consapevole della propria  capacità di generare violenza, avrebbe trovato comprensibile accarezzare per il verso del pelo il popolo (o la propria quota parte di popolo).

In fondo c’era, per dirla con le parole di Michele Serra, la consapevolezza che essere classe dirigente significava essere due passi avanti chi si voleva dirigere (e sperare naturalmente che quella fosse la direzione giusta).

Oggi, dove l’esasperazione del contatto, della rilevazione in tempo reale, ha preso il soprravvento; nessun leader ha il coraggio di prendere per mano e indicare la direzione aldilà dell’interesse del prossimo rilevamento statistico.

Una sondaggiocrazia in cui di sola tattica vive e che ha perso la consapevolezza della capacità di creare, la fuori, reazioni anche imprevedibili. E’ come se finita la contrapposizione ideologica, la politica italiana avesse considerato chiusa per sempre anche la contrapposizione violenta che ha dissanguato, quasi giorno per giorno, il Paese negli anni 70/80.  Paradossalmente la fine della violenza vera ha generato la contrapposizione urlata degli anni 90 e duemila. Al diminuire (fortunatamente) dei morti per strada si è assistito all’aumentare della irresponsabilità declamatoria. Parole come “guerra civile”, “scontro”, “contrapposizione” hanno acquisito cittadinanza ovunque nel dibattito politico.

Così come gli inevitabili inviti a “abbassare i toni” a “superare il clima d’odio”. Un teatrino quotidiano certo meno cruento e luttuoso dello scontro terroristico o golpista che il Paese ha vissuto ma che ha, di fatto, impedito al paese di progredire, di riformarsi.

Oggi parlare di attentato di fronte al gesto di un folle è, guardando con gli occhi indietro, ridicolo se non fosse pericoloso. Non certo per l’entità del danno subito da Berlusconi che certo male è stato e male starà per il colpo subito. Nè per la genesi del fatto che ha dimostrato la fallacità del sistema di sicurezza intorno al presidente del consiglio (e non è la prima volta) e per la gravità del gesto in sè.

Ma parlare di clima d’odio, cercare i “mandandi morali” (ma non è bastato il lutto che tale espressione ha già generato in passato?) per il gesto di una persona disturbata significa solo dare ragione a Marx nel dire che la storia si ripropone sempre due volte e stavolta ci è taccata la farsa.

Così come Di Pietro e la Bindi che stuzzicano la pancia del prorio “popolo”, abdicano al loro ruolo dirigente (diciamo che per Di Pietro si tratta di una costante) e si accomunano  ai gruppettari irresponsabili più a che degli statisti europei.

La seconda repubblica è, storiograficamente parlando, una creatura mai nata visto che nessun sovvertimento dell’ordine repubblicano è intervenuto negli anni 90, tuttavia è in giorni come questi che si avverte la necessità e l’urgenza che qualcosa intervenga (e velocemente) per toglierla di mezzo e dar vita finalmente a un Paese che mi accontenterei fosse “decente” visto che normale non sa essere.

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