Uno studio di quattro ricercatori statunitensi recentemente pubblicato su new media & society ha preso in considerazione l’appartenenza etnica, il genere e l’età dei personaggi dei videogiochi in circolazione negli Stati Uniti.
L’esito della ricerca è sconfortante. La stragrande maggioranza dei personaggi sono giovani uomini bianchi. Solo il 3% sono ispanici (la cui maggior parte come protagonisti non giocabili dall’utente) mentre le donne arrivano a malapena al 10%.
Gli afroamericani sono invece rappresentati in percentuali più simili alla composizione percentuale della popolazione americana ma a tale dato si arriva solo grazie ai titolo sportivi o a giochi di “gang” con personaggi quindi altamente stereotipati.
Il rischio, notano i ricercatori, è che, non sentendosi rappresentati e quindi difficilemente immedesimabili nei personaggi dei giochi, i giovani membri di queste comunità abbiano meno voglia di avvicinarsi alla tecnologia, mantenendo e ampliando il cosiddetto digital divide:
“Latino children play more video games than white children. And they’re really not able to play themselves. For identity formation, that’s a problem. And for generating interest in technology, it may place underrepresented groups behind the curve.
Ironically, they may even be less likely to become game makers themselves, helping to perpetuate the cycle. Many have suggested that games function as crucial gatekeepers for interest in science, technology, engineering and math.”
In momenti in cui da noi si discute sul dialetto come preselezione per gli insegnanti si tende a dimenticare che la costruzione dell’identità globale passa anche per i nostri avatar nei nostri videogiochi preferiti.